Al Senato 233 sì, la fiducia è compatta «Non c’è alternativa»
ROMA — «Non penso che Berlusconi sia una persona dall’identità debole, se non ho capito male come è fatto il personaggio…». Applausi dal Pdl, dove pure spiccano diversi scranni vuoti (tra gli assenti Paolo Bonaiuti). È il debutto a Palazzo Madama per Enrico Letta, che incassa la fiducia con 233 sì (Pd, Pdl, Scelta civica, Cd, Psi, Svp, Gal), 59 no (Sel, Fdi e Movimento 5 Stelle) e 18 astenuti (Lega). Prima di partire per Berlino il presidente del Consiglio sale al Quirinale per condividere con Napolitano la soddisfazione per il definitivo via libera del Parlamento. Il Pd ha votato compatto, ma fa notizia l’assenza del candidato sindaco di Roma, Ignazio Marino.
A dispetto di un tono di voce pacato, che alcuni scambiano per dimesso, è un Letta determinato e decisionista. Concentrato sul tema dell’Europa. Contento per l’«apertura di credito» della Lega: «L’ho colta con grande attenzione». Ai senatori, in sede di replica, il premier lancia nuovi appelli all’unità , chiede di smetterla di sventolare ciascuno il proprio stendardo, magari per coprire una «identità debole». Una riflessione sulla realpolitik, il suo chiodo fisso. La polemica sull’Imu è solo una conferma di quanto sarà difficile tenere insieme una maggioranza formata da avversari. «Non ci sono alternative a quello che stiamo facendo» e se ciascuno rimane «consapevole e orgoglioso della propria identità », come lui lo è della sua storia nel Pd, è possibile «ricercare soluzioni comuni» per rimettere in carreggiata l’Italia. Non bisogna avere paura della grande coalizione, non bisogna avere paura di mescolarsi… «La vorremmo diversa questa realtà . Anch’io — scandisce tra gli applausi — avrei voluto un risultato elettorale diverso e anch’io avrei voluto essere non seduto qui, ma magari a un lato di questo tavolo, in un governo politico diverso da questo». Ma la realtà è un’altra e tocca prenderne atto: «Oppure raccontiamo a noi stessi delle favole per toglierci pesi dalla coscienza». Se qualcuno pensa che l’esecutivo sia «forte, fortissimo», sbaglia di grosso: il carico di aspettative che grava sul governo è «assolutamente eccessivo» rispetto alla «oggettiva fragilità di quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo». E suona come un monito per i tanti che già tirano la coperta da una parte e dall’altra: «La situazione rimane di grandissima difficoltà e grandissima emergenza».
Il punto centrale resta il lavoro, con la difficoltà dei giovani a trovarne uno e la necessità di ridefinire il welfare: «Grande questione della quale discuteremo». L’altro imperativo è la riforma dello Stato, affidata alla Convenzione costituente alla quale Letta ha legato la sua permanenza a Palazzo Chigi. «Le nostre istituzioni non funzionano con un sistema che vede 945 parlamentari, divisi tra due Camere con gli stessi poteri» denuncia il premier e invita a raccogliere il lavoro «molto forte, marcato e profondo», della scorsa legislatura. E se ha fissato a 18 mesi la prima verifica di governo non è perché sia «irrispettoso nei confronti del Parlamento», ma perché l’esecutivo deve essere legato ad alcuni «adempimenti certi». Per Vito Crimi «tante belle parole e niente più». Letta ha invitato i grillini a mescolarsi e il capogruppo del M5S ribalta l’appello del premier: «L’invito a scongelarsi lo rivolgiamo noi a lei».
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