CHRISTA MISCHA, LA SCRITTRICE E LA SPIA
BERLINO. Furono due carissimi nemici inconciliabili. Si ammiravano e si combattevano con rispetto. Nel dittatore Honecker e negli altri gerarchi della Germania comunista ebbero quasi avversari comuni, sul finire del regime sotto il vento della perestrojka di Gorbaciov e della rivoluzione polacca. Sono Christa Wolf, la grande scrittrice dissidente tedesco-orientale che credette sempre e invano in un socialismo democratico e dal volto umano e per esso si batté per poi vedere l’est tedesco annesso da Bonn; e Markus “Mischa” Wolf, il mitico capo dello spionaggio estero della Ddr, la spia senza volto più temuta dalle intelligence del mondo libero, l’uomo cui si dice che John Le Carré si sia ispirato per Karla, il cattivo dei suoi romanzi. Anni dopo la riunificazione, Christa Wolf, coraggiosa dissidente contro il neostalinismo di Honecker, fu accusata di contatti con la Stasi. Un’accusa senza prove, che lei smentì e che intellettuali come Guenter Grass definirono infame, invitando i cacciatori di scoop dell’ovest a mettersi nei panni di chi viveva nel terrore dietro il Muro. Su tale sfondo, il rapporto singolare fra la scrittrice e la spia,
accomunate dal cognome, ma senza parentela alcuna, emerge dallo straordinario ultimo libro postumo di Christa Wolf, appena uscito da Suhrkamp Verlag: Un giorno in ogni anno, 2001-2011, nel nuovo secolo (Ein Tag im Jahr, 2001-2011, im neuen Jahrhundert, pagg. 161, euro 17,95).
È l’ultimo tomo degli appunti e dei vivacissimi schizzi di cui era già uscita la prima parte. Un giorno per ogni anno. L’idea è un bellissimo richiamo letterario all’iniziativa lanciata in pieno disgelo krusceviano a Mosca nel 1960: l’appello agli scrittori del mondo, che riprendeva un’idea di Maksim Gorkij del 1935 ma che poi sotto Stalin non venne mai realizzata, affinché ciascuno scrivesse il proprio modo di vedere il mondo mettendo a fuoco un giorno ogni anno.
Così cominciai a scrivere il 27 settembre di ogni anno dal 1960 in poi, spiega Christa Wolf nella prefazione di quest’ultimo tomo. Che è la parte più drammatica e sofferta del suo diario: dopo decenni di lotta e di sfida alla repressione per un socialismo diverso, Christa vede la Ddr crollare. Nel 2008, a 79 anni, annota: «Questo non è più il mio Tempo». La soggettività lucida che sempre l’accompagna si affianca allo shock per la scomparsa della Ddr e dei propri ideali per migliorarla, al trauma per l’arroganza frequente dei Wessis, i conquistatori-liberatori dell’Ovest. «In età avanzata avrei voluto volentieri essere risparmiata dalla Storia», scrive Christa, che parla del suo ottantesimo compleanno «come dello spartiacque tra la vecchiaia e la vicinanza della morte».
La famiglia e il marito la confortano. E le letture. Come appunto l’autobiografia del leggendario “Mischa”, l’aitante, colto, cosmopolita capo dello spionaggio più temuto dalla Nato, quasi un sosia di Paul Newman ne Il sipario strappato.
Quel Mischa che i neostalinisti Honecker e il capo della Stasi Mielke silurarono all’inizio dell’èra Gorbaciov conoscendo le sue simpatie per il nuovo Cremlino. Le pagine su di lui sono piene di comprensione, e tra le più affascinanti del volume. Nel capitolo
dedicato al 27 settembre 2010, quattro anni dopo che Mischa ancora prestante, vivace e pronto a serate danzanti con la giovane moglie Andrea (attrice dissidente, s’innamorarono un giorno che lui la interrogò), era morto d’infarto nel sonno, lei scrive: «Sto leggendo l’autobiografia di Markus Wolf, a tratti provo molta partecipazione. Molte pagine sono interessanti, fattuali. Come l’annotazione sulla curiosa posizione oscillante di Herbert Wehner ( ndr: uno degli uomini-chiave della Spd nell’èra Brandt)… che forse si può spiegare col fatto che Wehner nel suo cuore non si era del tutto sganciato dal comunismo e vedeva nella politica postbellica dell’Ovest un pericolo di guerra, da affrontare informando l’Est…». E più avanti Christa definisce G.W.Bush «più criminale di qualsiasi capo della Ddr».
Non è finita: Mischa riappare insistente negli appunti di Christa: «Ieri sera ho letto le sue pagine sulla costruzione del Muro, che non fu idea di Ulbricht (ndr: il predecessore di Honecker) bensì di Kruscev… Wolf e il suo servizio furono sorpresi dalla costruzione improvvisa del Muro come noi tutti, ed egli descrive la reazione della gente comune in modo molto realistico…
Eppure mi sento sempre divisa tra sentimenti conflittuali, nella lettura: lui dice di non aver avuto nulla a che fare con la Sicurezza di Stato interna, era sempre in confronto duro con Mielke, eppure, come si possono dividere le due parti del tutto? Non si sono accumulati cadaveri anche sulla sua strada?».
Ammirazione, stima per un nemico, di cui sapeva di non potersi fidare ma di cui coglieva la differenza rispetto agli altri big del regime. Pensieri sereni del suo mondo di ieri, quelli che Christa narra, ricordando forse quando lei e Stephan Heym fecero parlare Wolf alla folla in rivolta nell’autunno del regime, lui incassò bordate di fischi e anche lei difese una via gorbacioviana ormai già al tramonto.
Poche parole su Mischa anche alla fine del penultimo capitolo: la tv manda un reportage sulle crudeltà della Stasi, venti anni dopo la riunificazione, «un commento al libro di Markus Wolf che stasera leggo per l’ultima volta. Devo affrontare pensieri senza speranza…mi chiedo come ciò (ma cosa?) potrebbe essere riassunto in uno scritto. Non mi viene in mente nulla. Non mi sentirei sconsolata, se dovessi non scrivere più».
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