Una pseudo-tassa per la finanza

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Ricordiamo che la Tttf è un’imposta dell’ordine dello 0,05% su ogni transazione finanziaria. Gli impatti sono trascurabili per chi opera con orizzonti di lungo periodo, mentre diventano tanto più rilevanti quanto più gli obiettivi sono di breve termine. Si tratta di una delle misure più efficaci per frenare la speculazione e per ridurre l’instabilità  sui mercati finanziari. Dopo anni di campagne delle reti della società  civile, finalmente a inizio 2013 la Commissione ha pubblicato una propria bozza di direttiva, che deve ora essere discussa e approvata dalle altre istituzioni europee. 
Gli attacchi dei due Paesi dell’Ue che più hanno fondato le loro economie sulla completa deregolamentazione finanziaria non sono quindi una sorpresa. Lo è invece la dichiarazione di pochi giorni fa del ministro dell’Economia Grilli, secondo il quale l’Italia è pronta a bloccare l’intero processo europeo se non verranno esclusi dalla Ttf i titoli di Stato. Nelle parole del ministro, il motivo è che si tratta di un mercato «delicatissimo, su cui non vogliamo perdere alcuna chance». In pratica già  oggi Bot e Btp sono poco appetibili, come testimonia l’incessante lotta contro lo spread. Nella visione del governo, anche un’imposta minima potrebbe avere impatti sulla liquidità  del mercato e quindi sui nostri conti pubblici. 
Il problema è che il mercato dei titoli di Stato è «delicatissimo» in primo luogo a causa della stessa instabilità  e dei continui rischi di attacchi speculativi. La Ttf nasce come strumento per «gettare un granello di sabbia negli ingranaggi della speculazione», intervenendo a monte per bloccarne gli impatti devastanti. Secondo il governo, al contrario, l’unico obiettivo sembra quello di racimolare un gettito per dare sollievo ai conti pubblici, agendo unicamente a valle. Si raschia il fondo del barile con nuove imposte per rimediare ai disastri combinati dalla finanza, ma senza provare a contrastarne lo strapotere. 
In attesa del percorso europeo, con l’ultima legge di stabilità  il governo Monti ha introdotto una cosiddetta Ttf in Italia. Una proposta talmente debole che non andrebbe nemmeno chiamata tassa sulle transazioni finanziarie. Non vengono tassati i derivati e non si colpisce il trading ad alta frequenza, tanto per fare due esempi. Come dire che si introducono dei limiti di velocità  sulle strade, ma si scopre che riguardano le biciclette ma non le automobili, e che l’unico scopo è rimpinguare le casse pubbliche con le multe, non diminuire il numero di incidenti stradali.
La Ttf non è certo la panacea dei problemi della finanza. In parallelo bisogna contrastare i paradisi fiscali, limitare l’uso dei derivati e della leva finanziaria e via discorrendo. Se correttamente disegnata e applicata, è però un tassello fondamentale per chiudere il casinò finanziario che ci ha trascinato nella crisi. Parliamo di una «vera» Ttf , che necessità  della volontà  e della lungimiranza politica di volere controllare, e non compiacere, i mercati finanziari. Una volontà  e una lungimiranza che sembrano decisamente mancare oggi in Italia.
Il discorso sulla Ttf appare emblematico di quanto avvenuto negli ultimi giorni nel nostro paese. Con la ri-elezione di Napolitano abbiamo tranquillizzato i mercati. Abbiamo chiarito che andremo avanti come e con più impegno di prima: piani di austerità  e obbedienza assoluta agli ordini della Troika. Per alcuni giorni possiamo respirare. Lo spread è sceso, in attesa di capire quali altri sacrifici pretenderanno da noi i mercati. Per farci trovare pronti a chinare la testa e a sottometterci a sua maestà  la finanza. La tassa sulle transazioni finanziarie può aspettare.


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