Bruxelles capitola: «L’austerity fa male»
«Per riuscire – ha aggiunto Barroso – non basta che una politica sia ben concepita: deve godere anche di un minimo di sostegno politico e sociale». L’Europa sta voltando le spalle all’austerità ? Glielo ha chiesto persino l’Fmi.
Ufficialmente, nulla cambia. Olli Rehn, reagendo la settimana scorsa alla tempesta causata dalla rivelazione della serie di errori contenuta nella Bibbia del rigore – lo studio di due economisti di Harvard che stabiliva che un paese che oltrepassa il 90% di debito rispetto al pil è destinato al declino – aveva affermato che non si cambia politica in base alle critiche. Ma ammette: «Il ritmo di aggiustamento di bilancio in Europa si è già rallentato dal 2012».
Difatti, qualcosa si muove. La Spagna, secondo El Pais, avrebbe ottenuto due anni di tempo in più per rientrare nel 3% del debito, cioè fino al 2016. La Francia e il Portogallo hanno ottenuto un anno in più. Parigi aveva già fatto sapere di non poter rispettare quest’anno l’impegno di riportare al 3% il deficit pubblico, che dovrebbe essere al 3,7% (se non sfiorare il 4% a fine anno). In Portogallo la Corte costituzionale ha bocciato l’austerità ad oltranza. E l’Olanda, finora uno dei pilastri del rigore insieme alla Germania, sotto la pressione dei sindacati ha rinunciato al piano di austerità . Il governo di coalizione liberali-laburisti ha rinunciato a una riduzione immediata della spesa pubblica di 5 miliardi e ha ammesso che il paese non rispetterà l’impegno di ridurre il deficit pubblico al 3% nel 2014. «Dopo cinque anni di crisi, Barroso ha finalmente riconosciuto la realtà : l’austerità non è efficace né socialmente sopportabile», ha commentato Swoboda.
Bruxelles ha ben capito che anche la Bce con tassi di interesse già molto bassi (0,75%) ha ormai le armi spuntate. Gli ultimi dati europei sono estremamente preoccupanti: dopo un calo del pil dello 0,6% nel 2012, quest’anno ci sarà una recessione a -3% del pil complessivo. La disoccupazione salirà all’11%, la domanda langue dappertutto. E nella zona euro il debito aumenta invece di diminuire. La maggior parte dei paesi affonda nei deficit e solo la Germania nel 2012 ha chiuso i conti pubblici con un attivo dello 0,3%. I paesi della periferia continuano ad avere un deficit elevato: 10,6% in Spagna, 10% in Grecia, 7,6% in Irlanda, 6,4% in Portogallo, 6,3% a Cipro. Ma anche il cuore della zona euro è in difficoltà : nel 2012 la Francia ha avuto un deficit del 4,8%. L’Italia in crisi fa invece la figura della prima della classe,: 3% di deficit, superata solo da Austria (2,5), Finlandia (1,9%), Lussemburgo e Estonia. Il conto è stato presentato alla popolazione in termini di disoccupazione, perdita di potere d’acquisto e recessione (meno 1% previsto nel 2013), che ha risposto con il voto di sfida di febbraio.
Troppa austerità porta la minaccia di deflazione, hanno messo in guardia vari istituti di ricerca. La zona euro ha migliorato i deficit a un ritmo forsennato, simile a quello imposto all’America latina, all’Asia e all’Africa alla fine del secolo scorso. Le riforme strutturali sono avviate dappertutto. E se questo era lo scopo – limitare il diritto del lavoro – è stato raggiunto alla grande. Adesso si possono allungare le briglie del rigore, per non soffocare il malato con le troppe medicine. Resta da convincere la Germania, che a pochi mesi dalle elezioni non sembra disposta a permettere ai partner di cambiare rotta. Merkel è la nuova Tina (There is no alternative – motto di Thatcher). Ma «nella vita ci sono sempre alternative» ha commentato il think tank Bruegel.
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