«Il servizio militare, Kissinger: vi racconto Giorgio»
«Ancora la notte scorsa non ci pensava neppure. Era assolutamente convinto a restare fermo sulla sua scelta. Ormai aveva deciso: per motivi di età , di salute, di famiglia; e soprattutto per ragioni istituzionali. Poi, al mattino, la pressione è cominciata a salire. Da tutti i partiti, tranne ovviamente dai grillini. E anche dall’estero. In particolare dall’Europa…».
Emanuele Macaluso conosce Giorgio Napolitano da quando il futuro presidente aveva i capelli. «Lo vidi per la prima volta al fianco di Girolamo Li Causi, in Sicilia, nel 1950. Faceva il militare, era in divisa. A dire il vero era già un po’ stempiato… ». Spiega l’amico di una vita che «non soltanto Giorgio non ha fatto nulla per farsi rieleggere; ha fatto molto per non farsi rieleggere. La sua visione della Repubblica parlamentare e della Costituzione l’ha sempre indotto a credere che il mandato del capo dello Stato debba essere solo uno, com’è accaduto finora». Quando venerdì sera alle 21 la prima agenzia di stampa riportava una dichiarazione di Bondi — vale a dire di Berlusconi — con il nome di Napolitano, e la richiesta già saliva anche da un Pd sull’orlo della scissione, il presidente era ancora sereno. «Nella notte è partito il tam-tam — ricostruisce Macaluso —. Ma non sono stati soltanto il volto disperato di Bersani e quello preoccupato di Berlusconi a convincere Giorgio. E neppure le telefonate dall’estero. È stata la consapevolezza che per il Paese non c’era via di uscita. Allora è scattato qualcosa in lui. Ecco perché certe cose fanno male».
Anche altri amici storici di Napolitano fanno notare che poteva attendersi un gesto di cortesia di Rodotà — il ritiro della candidatura — che non c’è stato. I due non sono legati da una vera e propria amicizia, ma da un rapporto di stima. Non incrinato dalle frizioni del 1992, quando Rodotà era il candidato del Pds alla presidenza della Camera, ma non ebbe i voti di Craxi; al suo posto fu eletto Scalfaro, che poi salì al Quirinale e lasciò lo scranno più alto di Montecitorio proprio a Napolitano. «Alla fine, da Rodotà sono venute parole distensive — fa notare Macaluso —. Dev’essersi accorto troppo tardi in quale modo era stato utilizzato, in quali mani era finito».
Nelle mani di Beppe Grillo. Che però, dopo anni di ironie al limite del vilipendio, ha avuto per Napolitano parole di elogio dopo l’incontro durante le consultazioni. «Grillo non aveva tenuto conto del fascino personale di Giorgio — fa notare Macaluso —. È rimasto colpito dal garbo, dal rispetto per l’interlocutore, dalla velocità del suo ragionamento politico. Del resto non è caso che i suoi interlocutori americani abbiano sempre avuto un debole per lui, da Kissinger che lo definì “l’unico comunista che mi piace” (lui lo corresse: “former communist“, ex comunista) a Obama, che doveva passare con lui mezz’ora e l’ha trattenuto per un’ora e tre quarti. Forse Grillo si era trovato di rado davanti a un politico e a un uomo di quella statura». Ieri però ha ripreso ad attaccarlo. «Napolitano ha avuto l’impressione di un personaggio multiforme, dalle molte facce. Come Proteo, o come un vero attore — racconta un altro uomo a lui vicinissimo —. Del resto basta andare a leggere cosa Grillo diceva di Rodotà appena l’anno scorso… ».
Le immagini della contestazione di piazza, più limitata del previsto, ma pur sempre affollata di paradossali bandiere rosse, non hanno fatto piacere al capo dello Stato. «Deludente anche Vendola. Pensa davvero di costruire “un partito del socialismo europeo” con Grillo e Casaleggio?» si chiede Macaluso. Ancora più sorprendente è stato l’atteggiamento di Fabrizio Barca: «Con suo padre i rapporti sono sempre stati tesi. Luciano Barca passò da Amendola a Ingrao, dalla destra alla sinistra del partito. Era molto legato a Franco Rodano, il leader dei cattolici comunisti; del resto anche Barca senior veniva dal mondo cattolico. Giorgio però stima molto il figlio, è stato lui a volerlo nel governo Monti. Esprimersi in pubblico contro la sua rielezione, a pochi minuti dall’inizio del voto decisivo, è stata una mossa davvero sconcertante. Ma sono certo che Napolitano non porta rancori. Ieri è stata scritta una pagina di storia, e ne è pienamente consapevole. Gli hanno fatto molto piacere le reazioni della stampa internazionale e il sostegno espresso da tutto il cattolicesimo, dal Vaticano alla Cei ai frati di Assisi. Si è creato una sorta di stato di grazia. Il presidente cercherà di valorizzarlo per far partire un governo che riprenda in mano il bandolo sfuggito a Monti negli ultimi mesi. Pensare che era davvero sicuro di riuscire a godersi in pace i suoi nipoti. Le ironie dei grillini dovranno attendere». E non sarà , aggiunge un altro amico, una presidenza a tempo: «È logico che Napolitano amerebbe ritirarsi presto a vita privata, se non altro perché significherebbe che la situazione si è normalizzata. Ma mi pare che dalla normalità siamo lontani. Adesso non avrebbe senso ragionare su eventuali limiti al suo secondo mandato: sotto il profilo sia del tempo, sia dell’influenza che certo eserciterà sulla composizione e l’indirizzo del nuovo governo».
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