Gli scoraggiati sono oltre un milione “Qui non c’è speranza, inutile cercare un posto”

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ROMA – È come se l’intera popolazione di Milano avesse rinunciato a cercare un lavoro convinta di non averne alcuna possibilità . Sono un milione e 300 mila gli scoraggiati nel mercato del lavoro italiano. Sono poco meno della metà  (il 42,7 per cento) di coloro che gli statistici definiscono gli inattivi, quelli che non fanno più nulla per trovare un posto sebbene siano disponibili a lavorare. La somma di queste due categorie fa tre milioni e 86 mila persone, Milano più tutta la sua provincia. Poi ci sono i disoccupati, quelli che cercano attivamente un lavoro, e che sono due milioni e 744 mila. In tutto cinque milioni e 831 mila persone fuori dall’attività  produttiva. Quasi sei milioni. Questa è la crisi dell’occupazione in Italia che emerge dall’ultimo rapporto dell’Istat il quale dice pure che ci sono 605 mila sottoccupati part time (+34 per cento in un anno) che vorrebbero lavorare di più ma sono costretti dalla recessione all’orario ridotto.
Siamo i peggiori in Europa. Non tanto per i disoccupati (percentuali più alte delle nostre si registrano in Spagna e Portogallo), quanto per l’enormità  del numero di inattivi e scoraggiati. La quota di inattivi nel mercato del lavoro è tre volte superiore a quella della media europea. Un terzo degli inattivi continentali risiede nel Belpaese. Abbiamo più inattivi che disoccupati, mentre in Europa i disoccupati sono il doppio degli inattivi. Sta qui anche il mal funzionamento del nostro mercato del lavoro e, soprattutto, degli organismi che dovrebbero favorire l’incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro. Da noi, nonostante le tante riforme, la quota di coloro che trova un impiego attraverso l’ufficio di collocamento rimane ancorata al 4 per cento. Una percentuale insignificante. Da noi la regola è il cosiddetto canale informale, quello delle conoscenze, dei rapporti familiari, delle relazioni sociali. Oltre il 40 per cento – secondo l’ultima indagine Isfol-Plus del ministero del Lavoro – trova lavoro così. Questo perpetua le diseguaglianze, azzera la concorrenza, scoraggia e, infine, non fa bene nemmeno a chi trova il posto se è vero – sempre secondo l’Isfol – che chi segue la via informale guadagna di meno rispetto a chi conquista un posto con i canali formali. Non ci sono nemmeno più i concorsi: dopo il 2003 solo il 7,6 per cento di chi ha un’occupazione ha vinto una selezione pubblica, rispetto al 13,1 per cento del periodo 1998-2003 e del 27,3 per cento del periodo fino al 1997. Il blocco dei concorsi è un effetto delle politiche di austerity dettate dall’Europa. Vuol dire meno spesa pubblica ma anche meno persone occupate.
Gli inattivi non sono mai stati così tanti. Nel 2004 erano l’8,9 per cento, sono aumentati fino all’11,6 per cento nel 2012. Sono più donne che uomini, sono più giovani che lavoratori maturi (per quanto questi ultimi siano in crescita) stanno più nelle regioni meridionali che al nord. E si è appesantita pure la quota dei giovani Neet (Not in education, employment or training), cioè che non lavorano né studiano o seguono corsi di formazione: sono più di due milioni nella classe di età  tra i 15 e i 29 anni, pari al 22,7 per cento della relativa popolazione, contro il 15,4 per cento della media europea. Ma anche contro il 9,7 per cento della Germania e il 14,5 per cento della Francia.
Gli scoraggiati raggiungono la percentuale impressionante del 47 per cento tra gli inattivi nel Sud del paese. E pesa tantissimo il basso livello di istruzione, uno dei fattori strutturali che rende statico il nostro mercato del lavoro come solo due giorni fa ha ricordato la Commissione di Bruxelles. Dunque, ben il 66 per cento degli scoraggiati ha conseguito al massimo la licenza media. Rinuncia prima chi non ha titoli di studio. L’83 per cento di chi è laureato (dato Isfol), infatti, tende a intensificare la ricerca del lavoro. Solo il 20 per cento dei laureati direbbe di no a un’occupazione che comporterebbe un trasferimento, percentuale che sale al 50 per i lavoratori in possesso solo delle licenza elementare. Un paese in crisi, ma sempre immobile.


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