Un web per soli cinesi nasce a Pechino la Grande Muraglia 2.0

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PECHINO – Dopo averlo combattuto invano, la Cina si appresta a conquistare Internet. Il grande passo è previsto entro fine anno: la costruzione di una Rete solo cinese, la Grande Muraglia del secolo. Pechino supera filtri e barriere e passa direttamente al “web 2.0”, il mondo virtuale alternativo a quello made in Usa. L’arma usata per contendere all’Occidente il controllo di commercio e informazioni, sarà  il mandarino. Per la prima volta i domini di primo livello diventeranno disponibili anche in ideogrammi. La seconda parte degli indirizzi web, oggi riservata all’alfabeto romano, estenderà  l’uso dei caratteri che compongono le universalmente adottate terminazioni come. com,. net, o. ue.
Per scardinare il potere americano sulla Rete e creare una contro-comunità  online con la testa in Oriente, la Cina punta a diventare leader del nuovo mondo virtuale con il segno più davanti al Pil: la Russia, i Paesi arabi, la Corea del Sud e il Giappone, finora linguisticamente emarginati da computer, tablet e smartphone. La “guerra di Internet” non è una nazionalistica contesa formale. Dalla nascita del web i domini sono controllati dal dipartimento del commercio degli Stati Uniti, che gestisce gli indirizzi a livello globale. Una montagna di dollari, costruita sulla tassa di iscrizione che enti e aziende pagano per ottenere l’uso dei propri indirizzi. Per quindici anni la Cina, impegnata invano a combattere la Rete con filtri e barriere, note come «la Grande Muraglia di fuoco», non ha messo in discussione l’egemonia Usa sull’universo parallelo a portata di mouse. Pechino era ossessionata solo dalla censura, convinta che il web fosse il nemico più insidioso del proprio autoritarismo rosso. Il boom dell’economia digitale ha fatto però cambiare idea alla nuova leadership, convinta che anche la sfida della crescita si giocherà  sempre più online. Di qui l’idea di «una via cinese a Internet», mix tra business, repressione ed espansione culturale all’estero. Oltre agli ideogrammi mandarini nei domini, la Rete made in China prevede anche contenuti, format, pubblicità , social media e news riservati. Un vero e proprio universo a sé, separato dall’Occidente da un Muro di bit e controllato direttamente dal partito-Stato di quella che entro il 2020 sarà  la prima economia del mondo.
L’obiettivo politico, ottenuto con la registrazione obbligatoria dei documenti di ogni navigatore, è sminare il territorio del web dalla bomba democratica. L’Internet cinese non sarà  «l’impero dell’anarchia», come lo definisce Liu Qibao, nuovo capo della Rete scelto dal presidente Xi Jinping, e offrirà  alle nazioni emergenti uno «spazio alternativo», dove la censura viene proposta come «garanzia dalla destabilizzazione interna». La grande sfida è però economica. La Cina è il primo mercato online del pianeta e il primo produttore mondiale di computer e cellulari. Vanta 565 milioni di utenti (oltre 600 milioni a fine 2013) e la crescita è del 10% all’anno, pari alla popolazione italiana. I cinesi che usano tablet e smartphone superano i 420 milioni (+18,1% all’anno), quelli che gestiscono un microblog sono 286 milioni e i siti dell’e-commerce sono i più frequentati del pianeta. A Pechino naviga il 77% dei residenti. «Appena i domini in mandarino saranno realtà  – dice Gu Xiaoming, docente di comunicazione all’università  Fudan di Shanghai – il boom dell’economia digitale sarà  un’impressionante scossa globale».
Fino ad oggi i privati dell’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN), con sede a Los Angeles, hanno controllato e limitato gli indirizzi sfruttando l’alfabeto. La Cina e suoi alleati puntano a rompere l’equilibrio affidando i domini alle Nazioni Unite, attraverso l’ITU, abbassando e distribuendo gli oneri di trasmissione. Interessi enormi, tra cui la protezione digitale dei marchi e i pagamenti online, ma pure una grossa spinta ai giganti cinesi delle telecomunicazioni, all’e-commerce del Dragone, ai microblog censurati da Pechino e alle news elettroniche filtrate dalla propaganda. Logica comprensibile: la Cina e l’Asia sono la piazza più affollata del web, l’inglese e gli Usa frenano la sua espansione, Internet deve dunque esprimersi in mandarino per diventare realmente universale. Se la pubblicità  è in cinese, russo e arabo, i siti delle aziende non possono avere indirizzi solo in caratteri latini. Nel mondo del nuovo Internet sottratto alla dipendenza americana, gli affari sono però solo una faccia della medaglia. L’altra è il controllo sociale dell’umanità  post-televisiva: per Pechino resta quella decisiva, la vera ragione di una Grande Muraglia in mandarino, lunga come tutto il web.


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