Democratici, tutti contro tutti Il sindaco: sperano che vada via

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ROMA — Uno che di Pd se ne intende, l’ex deputato Peppino Caldarola, ha notato un particolare che a tutti è sfuggito: da qualche tempo in qua Pier Luigi Bersani «ha un tic al naso quando è nervoso, cioè sempre». È dai piccoli dettagli, alle volte, che si afferra quello che sta succedendo. Il segretario del Pd è sotto pressione. E ne ha ben donde: «Rischiamo l’implosione», avverte Beppe Fioroni.
Già  nel Partito democratico è ormai il tutti contro tutti: la presidente Bindi attacca il segretario, il segretario tenta di mettere sotto tiro Renzi, l’ex capogruppo Franceschini ventila la possibilità  di una scissione. E il sindaco di Firenze si è convinto che qualcuno dentro il Pd stia lavorando, di provocazione in provocazione (l’ultima è la vicenda che riguarda i grandi elettori del Quirinale), per costringerlo a uscire dal partito. Lo ha spiegato ieri a qualche fedelissimo: «Ho la certezza che i bersaniani vogliono che io me ne vada. Questo è il loro obiettivo. Ma io rimango».
Eccome se rimane. Anzi rilancia: adesso non esclude più di candidarsi alla segreteria del Pd. E a Porta a Porta annuncia: «Non metto nessun niet all’ipotesi di candidarmi al congresso». Renzi è talmente convinto di voler lanciare l’Opa sul partito che in questi ultimi tempi ha incontrato i due Grandi Rottamati: Walter Veltroni e Massimo D’Alema. Il primo colloquio, tenuto segreto, è avvenuto a Roma, a casa dell’ex segretario, alla vigilia della Direzione che si è tenuta dopo le elezioni. «Io voglio tornare allo spirito originario del Pd», ha spiegato Renzi a Veltroni. Che, soddisfatto per il riconoscimento, gli ha dato questo consiglio per il suo futuro da leader: «Devi entrare nell’ottica che ti devi interessare del partito, non puoi pensare solo al governo: nel Pd leader e premier coincidono». E il sindaco, come si è visto, ha seguito il suggerimento. Cominciando a tessere la sua tela anche nel Pd.
Il secondo colloquio, come si sa, è di ieri. Chissà  se D’Alema ha fatto a Renzi la profferta che ha in animo di fargli da giorni, secondo quanto scrive su “Panorama”, con lo pseudonimo di Keyser Sà¶ze, un noto parlamentare. E cioè di assumere la guida di un governo di salvezza nazionale.
Non c’è quindi da stupirsi se la tensione tra Renzi e Bersani (che ieri ha cercato di rabbonire il sindaco) è altissima. La si palpa con mano, al centro come in periferia. Spiega Angelo Rughetti, deputato renziano: «La verità  è che il partito è gestito come se le primarie non fossero mai avvenute e non vi fosse un 40 per cento del nostro elettorato che ha votato Matteo». Rughetti racconta anche alcuni episodi che lo hanno molto colpito: «Nelle sezioni se accompagni un cittadino o un amministratore locale a fare una tessera del Pd, se è renziano non gliela fanno».
Ma il malessere è generalizzato. Anche gli ex ppi sono a disagio: si sentono esclusi dai giochi. Questo spiega il nervosismo di Franceschini, per esempio. Che si è acuito con l’avvicinarsi dell’elezione del Presidente. «Se non ci sarà  un cattolico al Colle vuol dire che è finita una stagione», afferma Fioroni. Sì il Quirinale fa fibrillare ancora di più la situazione. Secondo il direttore di Europa Stefano Menichini il Pd si sta avviando alla partita del Colle come la Dc: «Diviso in correnti». E un autorevole esponente di Largo del Nazaremo aggiunge questa chiosa: «Come la Democrazia Cristiana del 92, che elesse Scalfaro e poi esplose».
Sia Renzi che gli ex ppi (che, va detto per inciso, non vanno spesso d’accordo) guardano con sospetto anche ai movimenti a sinistra del Pd. E si chiedono che cosa significhi questo tentativo di matrimonio con Sel. O che rappresenti l’improvviso attivismo di Barca, che l’altro ieri si è incontrato addirittura con il leader Fiom Maurizio Landini in un bar dal nome evocativo: «Ritorno al passato». Renziani ed ex ppi avrebbero potuto avere qualche indizio di ciò che si muove a sinistra se avessero ascoltato ieri in Transatlantico uno dei luogotenenti di Vendola, Gennaro Migliore, che diceva a un amico: «Renzi potrebbe farsi il suo partito e arrivare anche al 20 per cento». Insomma sembrerebbe che nel centrosinistra ci sia chi ritiene che la somma non faccia il totale. E che se ex Ds (con l’innesto di Sel) ed ex margheritini si dividessero per poi allearsi alle elezioni prenderebbero più voti del Pd. «Una solenne stupidaggine», l’ha definita Veltroni nel suo colloquio con il sindaco di Firenze. E Matteo Renzi ha concordato con lui.
Maria Teresa Meli


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