Salam, il premier di marca saudita

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Il deputato sunnita Tammam Salam ha ricevuto ieri l’incarico di formare il nuovo governo libanese. Le consultazioni avviate due giorni dal presidente Michel Sleiman hanno visto la convergenza di gran parte delle forze politiche sul nome di Salam, ritenuto un «moderato». Il premier incaricato ha annunciato la nascita di un esecutivo di «interesse nazionale» con il compito di impedire che il Libano finisca come la Siria – i segnali in quella direzione ci sono tutti – e di traghettare il paese verso le elezioni parlamentari di giugno, destinate però a un probabile rinvio a causa del mancato accordo sulla nuova legge elettorale. I tratti distintivi del nuovo governo però sono altri: il deciso calo di influenza di Hezbollah e il ritorno in grande stile dell’Arabia saudita nelle vicende interne del Paese dei Cedri.
L’ex premier Najib Mikati fino a pochi giorni fa ha guidato una compagine dove il movimento sciita di Hassan Nasrallah ha avuto molto potere. In particolare quello di tenere ancorato il Libano, almeno ufficialmente, a una politica di «neutralità » nei confronti della guerra civile siriana che nei fatti si è manifestata in un appoggio indiretto a Bashar Assad in varie occasioni.
Mikati aveva aderito al motto «Esercito, popolo, resistenza», affermando il rifiuto del suo governo del disarmo di Hezbollah e il riconoscimento del ruolo «nazionale» della guerriglia sciita. Il nuovo governo Salam – sottolinea la stampa libanese – invece adotterà  la dichiarazione di principio espressa dalla sessione del dialogo nazionale del giugno 2012 che stabilisce «la distanza del Libano dai conflitti regionali e internazionali». Una formula in apparenza neutra ma che, nella sostanza, allontana ancora di più Beirut da Damasco. Solo di facciata il governo Salam getterà  un ponte fra Hezbollah che guida il «Fronte 8 marzo» (assieme ai cristiani che fanno riferimento all’ex capo di stato maggiore Michel Aoun) e il «Fronte 14 marzo» filo-Usa, capeggiato dall’ex premier Saad Hariri, ferocemente avverso all’Iran, alla Siria e all’arsenale del movimento sciita. Dietro la nomina di Salam ci sono le forti pressioni esercitate dall’Arabia saudita. A Riyadh, prima e dopo la caduta di Mikati, si sono svolti numerosi incontri tra i sauditi e vari rappresentanti del mondo politico libanese, incluso il leader druso Walid Junblatt, oscillante ago della bilancia di qualsiasi coalizione. La monarchia Saud ha scelto il moderato Salam ridimensionando in parte le ambizioni dell’alleato sunnita Saad Hariri che avrebbe voluto come primo ministro il capo dell’intelligence interna Ahmad Rifi, apertamente schierato contro Hezbollah. Riyadh ha scelto una linea morbida rispetto all’approccio avuto in passato di scontro diretto con Hezbollah e la Siria. I sauditi sanno di poter ottenere in modo indolore ciò che non hanno avuto prima: il controllo del Libano, con tanto di benedizione degli alleati americani.
Bashar Assad ormai preoccupa poco, è un leader impegnato a difendere il suo traballante potere e guarda sempre di meno al Libano. Hezbollah rimane potente militarmente ma le spaccature sorte nel mondo araboislamico a causa della guerra civile siriana (con un forte carattere settario) lo hanno reso meno affascinante e perciò fa meno paura alle petromonarchie rispetto a qualche anno fa. In questa fase così fluida Hassan Nasrallah non può far altro che mantenere una posizione di basso profilo in attesa di capire che cosa accadrà  in Siria e quale sarà  il ruolo futuro dell’alleato iraniano. Punta perciò a un obiettivo minimo ma essenziale: dare il via libera a un governo «meno amico» in cambio di una nuova legge elettorale che non consegni automaticamente la maggioranza del Parlamento al «Fronte 14 marzo». E non è escluso che, dietro le quinte, il leader sciita abbia raggiunto su questo punto un compromesso con i sauditi.
In Libano Riyadh può anche prendersi una rivincita sugli alleati-rivali del Qatar che, assieme alla Turchia, recitano in Siria un ruolo di sponsor politico ed economico dominante sui ribelli anti-Assad. Mettendo le mani sul Paese dei Cedri e continuando a manovrare la minoranza sunnita in Iraq che da mesi tiene alle corde il premier sciita al Makili, i sauditi prevedono di poter contenere in modo decisivo l’influenza iraniana e allo stesso tempo di bilanciare la scomoda intraprendenza dell’emiro del Qatar Hamad bin Khalifa al Thani.


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