La morsa da 30 mila euro che ha stritolato Romeo

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Il signor Concetti ha gli occhi lucidi perché ripensa a quando Romeo si presentava nel suo ufficio, in via Cecchetti, con 50 euro in mano, perché finalmente l’avevano pagato per un lavoretto di muratura, orgoglioso perciò di poter dare qualcosa all’uomo che da anni l’assisteva senza chiedergli niente, nessuna parcella, col pudore di chi conosce bene i problemi abnormi delle famiglie normali, quando le tenaglie cieche della burocrazia decidono che è l’ora di stringere fino in fondo la morsa. «Erano due le cartelle esattoriali che tormentavano Romeo — ricorda il commercialista —. Riguardavano gli arretrati con l’Inps e l’Inail relativi al 2010 e al 2011, in tutto una somma di 5-6 mila euro. Le due cartelle le teneva custodite Annamaria, sua moglie, in un cassetto della camera da pranzo. Pagare quegli arretrati avrebbe voluto dire mettersi in regola con lo Stato e dunque riottenere il sospirato Durc, il Documento unico di regolarità  contributiva, che consente a chi si è aperto una partita Iva di stare sul mercato del lavoro con piena legittimità . Altro che ceto medio, non avevano più i soldi per mangiare…». Già , ma il Durc intanto al signor Romeo non gli era stato più rinnovato a causa del ritardo nei pagamenti e l’anziano muratore si era visto, così, costretto ad accettare lavoretti in nero che il più delle volte finivano male: «Due napoletani sono scappati senza pagarlo, Romeo aveva almeno 10 mila euro di crediti da riscuotere — racconta al cimitero Gianna Dionisi, la sorella gemella —. Di recente, per esempio, aveva comprato a spese sue delle mattonelle per rifare il bagno di un appartamento. Ma il proprietario, con la scusa che il pavimento era scoppiato, si era rifiutato di pagarlo e così anche quelle mattonelle erano diventate un debito col marmista». Altri «buffi», altri impegni onerosi da onorare, una spirale perversa, che si attorcigliava insieme alla vergogna giorno dopo giorno intorno al collo di questa coppia disperata. La sorella di Romeo, Gianna, dice che secondo un calcolo fatto approssimativamente dai familiari il debito complessivo contratto dai coniugi Dionisi era arrivato a circa 30 mila euro: «Annamaria prendeva una pensione minima di 600 euro, suo fratello Giuseppe che viveva con loro in via Calatafimi prendeva anche lui la pensione di ex operaio calzaturiero, una pensione di circa 900 euro. Metà  la teneva per lui, per la benzina, per le cure mediche. Il resto lo destinava al bilancio familiare».
Bilancio in rosso, però, come s’è capito: 5 mesi di affitto arretrato (500 euro al mese) dovuti al signor Mario Pagnanini, il proprietario dell’appartamento, che per fortuna chiudeva un occhio e non andava mai a reclamare. Altri 300 euro al mese, poi, di bollette, luce, gas, telefono. Ma soprattutto i 700 euro al mese di rata da pagare per un mutuo acceso presso una finanziaria della zona.
Un mutuo di circa 15 mila euro contratto proprio nella speranza di riuscire a saldare i vecchi conti con l’Inps e con Equitalia. «Sì, ma il lavoro non c’era — continua il commercialista Concetti —. Romeo ormai non lo trovava più e a 62 anni aveva il problema di non avere ancora maturato i contributi necessari per andare in pensione, perché 5-6 anni non aveva lavorato proprio per la carenza di occupazione e gliene mancavano poi altri 5 per raggiungere la quota fatidica della riforma Fornero, cioè 67. Insomma, la pensione per lui era diventata un miraggio. E la cosa lo addolorava».
«Già  â€” conclude amara Gianna Dionisi, davanti alla tomba del fratello —. Ho detto alla presidente della Camera Laura Boldrini di chiedere al ministro Fornero se la notte riesce a dormire. E l’ho detto anche al rappresentante del Quirinale, venuto per le esequie: questo non è stato un triplice suicidio. Questo è stato un omicidio, anzi una strage».
Fabrizio Caccia


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