L’amicizia per Obama e il «parallelo» con i marò dietro la scelta del Colle

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ROMA — «Una soluzione ispirata allo stesso principio che si cerca di far valere per i nostri due marò in India». È questa una delle chiavi — non espresse nel comunicato ufficiale — per comprendere il significato riflesso della grazia firmata ieri dal presidente della Repubblica in favore del colonnello americano della Nato Joseph L. Romano III, che nel 2003 comandava la base militare di Aviano e che, nove anni dopo i fatti, è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione per concorso nel sequestro dell’imam Abu Omar. Vale a dire che, tra i motivi per cui è stato concesso il provvedimento di clemenza, un qualche intento indiretto ha anche l’irrisolta vicenda dei nostri fucilieri di marina trattenuti a New Delhi, sui quali è in corso un braccio di ferro tra il governo italiano e quello indiano.
Un rispecchiamento giocato, oltre che sulle regole della giurisdizione riservata specificamente ai militari (rivendicata in un caso come nell’altro), sulla speranza che la soluzione di questa controversia possa essere d’esempio e indirizzare le diplomazie dei due Paesi a sciogliere le tensioni in nome dei rapporti d’amicizia, oltre che del diritto internazionale. Per il momento si tratta soltanto di un riverbero obliquo, ma al Quirinale si confida che sulla scia di questa decisione certe tenaci resistenze riescano a incrinarsi pure in India.
È stata una scelta sofferta, quella di Giorgio Napolitano. Che è cominciata a maturare il 15 febbraio scorso, durante la sua visita a Washington. Tra i dossier che il capo dello Stato si era portato dietro, c’era anche un fascicolo d’appunti riservatissimi sul rapimento di Abu Omar, nodo complicato nei rapporti atlantici e motivo di forti incomprensioni. Gli sforzi per chiudere «nell’interesse comune» un tale contenzioso, per quanto il nostro presidente negasse di aver affrontato la questione con Barack Obama, aveva comunque già  da tempo impegnato i ministri della giustizia dei due Paesi.
Il problema di fondo era, stando alle parole pronunciate allora da Napolitano, di «farci capire». Infatti, alle difficoltà  strettamente giuridiche si sovrapponeva una certa «ipersensibilità » degli Stati Uniti, dove la ferita per gli attentati dell’11 settembre non è ancora rimarginata e dove dunque si stenta a capire il senso di una condanna che riguardi i propri soldati.
A fondamento della grazia (accolta, com’era scontato, «con estremo favore» dall’ambasciata Usa) il Quirinale segnala il fatto che il presidente Obama, subito dopo la sua elezione, «ha posto fine a un approccio della sicurezza nazionale» legato appunto al terribile trauma dell’attacco alle Twin Towers «e concretatosi in pratiche ritenute dall’Italia e dall’Ue non compatibili con i principi fondamentali di uno Stato di diritto». Cioè la reazione antiterroristica su vasta scala basata su «drastici» provvedimenti, su incarcerazioni ingiustificate e prolungate, su pratiche violente e su torture come quelle subìte dall’imam di Milano a opera di un commando della Cia fiancheggiato dal Sismi. Ecco, è anzitutto grazie alla svolta impressa dalla Casa Bianca dopo la dura gestione Bush che Napolitano ha ritenuto di poter considerare con attenzione la richiesta giunta dall’avvocato del colonnello Joseph Romano. La battaglia sulla competenza e alcuni nuovi trattati e nuove discipline sulla giurisdizione riferite ai militari Nato, hanno visto emergere «un contesto diverso, più favorevole all’imputato». E questo, a maggior ragione, valutando che i fatti commessi sul territorio italiano erano «ritenuti legittimi in base ai provvedimenti adottati dall’allora presidente e dal Congresso americani».
Di qui la decisione finale di concedere la grazia. Il che «ha ovviato a una situazione di evidente delicatezza sotto il profilo delle relazioni bilaterali con un Paese amico, con il quale intercorrono rapporti di alleanza e di stretta cooperazione in funzione dei comuni obiettivi di promozione della democrazia e di tutela della sicurezza». Paese amico gli Stati Uniti come anche, per quanto non citata, l’India.


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