Paradisi fiscali, la lista dello scandalo

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LONDRA — Su il sipario. Ecco la multinazionale dell’imbroglio fiscale. La sua fisionomia, il suo capitale sottratto alle dichiarazioni patrimoniali ufficiali, che secondo lo studio di James S. Henry — l’ex capo economista di McKinsey — ammonterebbe a una cifra compresa fra i 21 mila e i 32 mila miliardi di dollari («pari alla ricchezza prodotta da Stati Uniti e Giappone»), il suo modus operandi, con la mappa dell’evasione mondiale negli ultimi trent’anni, sono in una scatola nera, l’«hard disk» di un computer che Gerard Ryle, direttore del Consorzio Internazionale dei Giornalisti d’Inchiesta (l’Icij di Washington), ha ricevuto per posta qualche tempo fa.
Vale più di mille miniere d’oro messe insieme: 260 gigabyte, 2,5 milioni di documenti archiviati con i nomi e le attività  di 120 mila società  offshore, con l’identità  dei 130 mila titolari di conti cifrati (per ora 200 italiani, in compagnia ad esempio di Jacques Augier, il tesoriere della campagna elettorale di Franà§ois Hollande, o di Maria Imelda Marcos, la figlia dell’ex presidente filippino, o della baronessa spagnola Carmen Thyssen-Bornemisza che ha utilizzato i suoi «risparmi occulti» per comperarsi un Van Gogh all’asta, «Il mulino ad acqua a Gennep»), conti cifrati nascosti alle Isole Vergini britanniche, alle isole Cook, alle Cayman, nel Liechtenstein, poi con la ragnatela dei movimenti e delle ricchezze depositate, infine con le banche (citate la Ubs, la Deutsche Bank con 309 società  di comodo, la Clariden controllata dal Credit Suisse) che «hanno lavorato aggressivamente per fornire ai propri clienti le compagnie dei paradisi fiscali coperte dal segreto». Centosettanta nazioni coinvolte: le nazioni unite della frode fiscale.
Gerard Ryle, che investigava sullo scandalo australiano della «Firepower International», si è ritrovato questo tesoro sulla scrivania, ha chiamato a raccolta 86 giornalisti del suo consorzio (46 Paesi, Leo Sisti per l’Italia) e ha messo in piedi un pool di 38 testate sparse per i continenti (dal Washington Post al Guardian e a Le Monde, partner italiano l’Espresso) per leggere quei file e per ricomporre in 15 mesi il mosaico dell’evasione fiscale.
Così, il risultato è che diventa di dominio pubblico la lista infinita dei furbi, furbetti e furbastri, o presunti tali, che, grazie a migliaia di «maghi consulenti» e di professionisti dei giochi di prestigio illegali in Europa o in America, in Asia o in Oceania, hanno occultato i loro veri patrimoni e ne hanno anonimamente disposto per lo shopping personale (case, barche, quadri).
Di mezzo, avverte il rapporto del Consorzio dei giornalisti investigativi, c’è un’umanità  varia: «Medici e dentisti americani, la middle class della Grecia, i furfanti di Wall Street, despoti, oligarchi, manager, trafficanti d’armi». Oltre a commercianti di diamanti indiani, dirigenti del colosso Gazprom, ultramilionari inglesi, tedeschi e francesi, funzionari dei governi del Canada, dell’Azerbaigian, del Pakistan, delle Filippine, del Venezuela. E naturalmente figure di discreta caratura della politica internazionale, potenze nei loro Paesi.
Adesso, come se si conficcasse uno spillo alla volta per rendere la vicenda più dolorosa, escono a spizzichi e bocconi i nomi. Siamo all’inizio. Fra i 200 italiani, rivela l’Espresso che compaiono Gaetano Terrin («all’epoca commercialista dello studio Tremonti»), Fabio Ghioni, hacker dello scandalo Telecom, i commercialisti Oreste e Carlo Severgnini. Si affiancano a gente come il presidente azero Aliyev, il primo ministro della Georgia Bidzina Ivanishvili, l’ex ministro delle Finanze della Mongolia Sangajav, Olga Shuvalova moglie di Igor Shuvalov (l’ex vice primo ministro russo), l’ex cantante americana Denise Rich, ex moglie di Marc Rich accusato di frode e perdonato da Clinton nell’ultimo giorno di presidenza. La company globale dell’evasione. «Che ci diano i documenti» reclama il ministro delle Finanze di Berlino. Si prepara a bastonare i suoi connazionali dell’offshore?
Fabio Cavalera


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