Il fisco chiede 344 milioni a Mediolanum

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MILANO — Tutta colpa della tigre celtica. Di un tentativo di patteggiamento non andato a buon fine. Nonché di un conto che continua a salire a causa degli interessi e degli accertamenti che non si sono ancora conclusi. Tutto questi elementi messi insieme potrebbero avere un costo di 324 milioni di euro. E che potrebbe lievitare se i ricorsi presentati da Mediolanum contro l’Agenzia delle entrate non si concluderanno con una vittoria per la società  controllata alla pari dal banchiere Ennio Doris e dalla Fininvest della famiglia Berlusconi.
La storia, nelle sue linee fondamentali, si trascina da qualche anno. Da quando sono iniziati i controlli sulla società  guidata dal manager che nelle pubblicità  televisive si presenta sempre in doppiopetto, diffondendo ottimismo pure in questi ultimi anni di recessione. Anche perché la sua società  non ne ha sofferto più di tanto (351 milioni di utile l’anno scorso). Soprattutto da quando la stragrande maggioranza delle attività  di Mediolanum sono state trasferite in Irlanda. Aprendo, però, il contenzioso con il fisco italiano.
Ma andiamo con ordine. Nel bilancio 2012 appena depositato, è stato pubblicato l’aggiornamento della vicenda iniziata con i primi controlli datati ormai 2005 e proseguiti almeno fino al 2009. Nei conti dell’anno scorso si legge che Mediolanum si è vista recapitare avvisi di accertamento per il periodo 2005-2007 per 323,4 milioni, comprensivi di imposte non pagate e sanzioni, cui si aggiungono altri 20,8 milioni già  contestati per il 2010.
Ma cosa è accaduto? Come altre società  di gestione del risparmio anche Mediolanum ha trasferito all’estero buona parte delle sua attività  “industriali”. La società  di Doris e Berlusconi a inizio anni Duemila ha creato Mediolanum International Funds attiva in Irlanda, sfruttando la tassazione ridotta per le società  concesse dal governo di Dublino. Da qui vengono confezionati i prodotti finanziari poi distribuiti e venduti dalla rete Mediolanum. L’Agenzia delle entrate contesta il livello di retrocessione delle commissioni – fatte pagare per il servizio – dall’Irlanda alla capogruppo in Italia. Il sospetto è che il gruppo tenga una parte dei ricavi sull’isola così da sfruttare la mano più leggera del fisco irlandese (il tax rate 2012  è del 29,9%).
Una prassi tenuta dalla maggioranza delle società  di gestione del risparmio in Italia: secondo il dato del 2011, il patrimonio netto gestito da fondi di diritto estero collocati nel nostro paese da fondi italiani aveva un incidenza del 57 per cento sul totale delle masse. Soltanto nel 2005 era solo del 30 per cento.
Per il fisco italiano, però, Mediolanum avrebbe esagerato tenendo troppo basso il livello delle retrocessioni. La società  contesta il fatto , sostenendo di rientrare «nel range di valori di libero mercato individuati da economisti indipendenti». Definisce l’analisi del fisco «illegittima» ed «errata». E ha deciso di attivare la procedura arbitrale europea sulle doppie imposizioni e rimettere la «soluzione della controversia alle autorità  fiscali irlandesi e italiane», come si legge nel bilancio.


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