Il Quirinale, lo stallo e la scelta dei facilitatori

Loading

Ieri mattina a Montecitorio c’era chi evocava l’8 settembre ’43: siamo senza capo della polizia, senza ministro degli Esteri, senza governo e rischiamo di trovarci pure senza capo dello Stato… come reagiranno i mercati? Uno scenario catastrofico e catastrofista sintonizzato sullo sgomento con cui gli italiani assistono a questa che ormai si configura come crisi di sistema.
Uno scenario che all’ora di pranzo Giorgio Napolitano ha cercato di sdrammatizzare in diretta tv. Spiegando anzitutto che un governo c’è, quello di Mario Monti: né morto né risorto, sta lì, «dimissionario ma non sfiduciato», blindato dall’alto anche contro eventuali maldipancia del premier tecnico, e resta operativo e pronto a varare tutti i provvedimenti a difesa dell’economia che si rivelassero necessari.
Per quanto riguarda le sue dimissioni, ventilate davanti a parecchi interlocutori nel consulto di venerdì scorso al Quirinale, dato che, anche se avesse lasciato subito il palazzo, l’incrocio di scadenze e adempimenti istituzionali avrebbe fatto guadagnare soltanto tre o quattro giorni e data la sua convinzione di «poter contribuire fino all’ultimo a tutelare l’interesse nazionale», quell’ipotesi rientra.
«Ci ho riflettuto sopra» tutta la notte, ammette il presidente, girando intorno uno sguardo stanco. Ci ha pensato finché, per aggirare lo stallo, si è inventato un inedito tipo di esplorazione (inedito almeno in Italia, mentre un caso assimilabile è stato alla base di una «grande coalizione» in Olanda). Insediare cioè due commissioni di «saggi» con il compito di individuare alcuni nuclei programmatici su cui costruire un’intesa con le forze politiche: spunti operativi da scrivere, e far sottoscrivere, con la massima trasparenza. Esperti scelti «in piena autonomia» da Napolitano e che dovrebbero svolgere un ruolo da «facilitatori della soluzione», come precisano sul Colle, anche perché i membri di quei gruppi di lavoro non siano considerati alla stregua di impropri negoziatori.
Un modo per far sedere di nuovo i partiti intorno a un tavolo e incrinare l’incomunicabilità  di questo momento? Un tentativo di prendere tempo e, insieme, di dare una cornice istituzionale ai propri sforzi per superare l’altrimenti inoperosa fase d’impasse? Un’indicazione per tranquillizzare i mercati (che non si congelano in attesa degli eventi come si è autocongelato Pier Luigi Bersani) e le Cancellerie dell’eurozona dove, non riuscendo a decifrare quanto accade a Roma, si potrebbe riaccendere la già  sedimentata e tenacissima sfiducia verso il nostro Paese?
Probabilmente ci sono tutte queste motivazioni, a spiegare la mossa a sorpresa del capo dello Stato. Il quale comunque sa bene che il vero elemento di blocco per la — comunque molto difficile, per non dire proibitiva — formazione di un esecutivo è rappresentato dall’ormai imminente sfida sul Quirinale.
Esclusa la chance di elezioni anticipate (una pistola scarica durante le sue consultazioni, visto che siamo nel semestre bianco), Napolitano ha meditato sull’ipotesi di far partire un governo suo, «di scopo», «del presidente», insomma. Alla fine ha considerato che, sia per il clima generale sia per coerenza con se stesso, non poteva azzardarla. Se infatti aveva posto al segretario del Pd il vincolo di dimostrargli una maggioranza certa, come poteva concedere a un uomo investito di un incarico così «speciale» di presentarsi alle Camere alla cieca e cercarsi dei voti che nessuno aveva assicurato?
Ecco come, scartando un’alternativa dopo l’altra, si è arrivati all’idea di una decantazione attraverso l’insediamento, previsto per martedì, della doppia equipe di esperti.
Dieci nomi invece di uno: l’unica chance per reagire allo stallo e mettere insieme, nero su bianco, «lo scopo» di un futuribile governo. Il presidente spera che la loro fatica possa rivelarsi utile a sciogliere il nodo della governabilità . Se, come però appare estremamente improbabile, le conclusioni del loro confronto con le forze parlamentari saranno pronte in breve tempo, se ne servirà  per cimentarsi in extremis a chiudere lui stesso il cerchio. Altrimenti potranno essere una base di partenza per le valutazioni che il suo successore dovrà  fare, affrontando una crisi così anomala, con tre grandi minoranze fra le quali «persistono posizioni diverse» e tutt’ora inconciliabili.
Uno sbocco che il Movimento 5 Stelle vorrebbe far passare come una propria vittoria. Lettura che, per il presidente emerito della Consulta, Francesco Paolo Casavola, è inconciliabile con lo spirito di quanto escogitato dal Quirinale. «Grillo voleva mettere da parte il problema del governo, sostenendo che il Parlamento poteva funzionare lo stesso anche con il vecchio esecutivo… invece la scelta del presidente ha l’obiettivo di arrivare alla composizione di un governo partendo dall’accordo su un progetto».


Related Articles

L’ira di Bersani: così salta l’alleanza

Loading

  «MONTI deve ricordarsi che il comune avversario è Berlusconi, ma attenzione perché, se continua così, rimette in discussione la possibilità  di collaborare con noi dopo le elezioni. Così l’alleanza dopo il voto salta». Bersani pesa ogni parola.

Incontro dei sindacati con un governo diviso : «Si mettano d’accordo»

Loading

A palazzo Chigi. Landini (Cgil): «Il governo deve essere uno, questo è un nodo che devono risolvere»

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment