A Tunisi un’altra primavera

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TUNISI. Al Forum sociale mondiale che si apre oggi a Tunisi sono previste diverse decine di migliaia di partecipanti. Un’occasione unica per accendere i riflettori della società  civile internazionale sulla primavera araba ben lungi dall’essersi compiuta. Si inizia nel pomeriggio con una marcia fortemente voluta dai movimenti delle donne tunisine, molto attive anche sotto la dittatura. Anche la giornata di ieri ha avuto una vigilia ricca di incontri informali, inclusa un’assemblea dei movimenti contro la privatizzazione dell’acqua in occasione della giornata mondiale dell’acqua. Si è svolto anche un seminario internazionale della Fondazione Rosa Luxemburg, vicina alla Linke tedesca, per riflettere su come connettere le mille battaglie locali contro le infrastrutture e i progetti estrattivi di risorse naturali, nel Nord come nel Sud del mondo.
In apertura la presentazione di Habib Ayeb, professore associato di geografia all’Università  Parigi 8 ed a quella americana del Cairo. Habib, come il suo più noto collega geografo David Harvey, parla apertamente di una nuova accumulazione di capitale tramite l’esproprio sistematico dei territori e beni comuni alle comunità  locali. Qualcosa che secondo lui è stato anche alla base dello scoppio della rivoluzione in Tunisia due anni fa.
Come siamo arrivati alla rivoluzione nel gennaio 2011?
Dobbiamo leggere tutto quanto accaduto come un processo rivoluzionario molto lungo, iniziato sin dal 2008 quando il governo ha accelerato l’attacco ai beni comuni delle comunità  più povere del paese che vivono nella zona mineraria dell’ovest e del sud agricolo. Qui vivono i marginalizzati a cui l’estrattivismo toglie sempre di più per l’interesse dei mercati globali e delle élite tunisine. Sono stati anni di accumulazione continua di resistenza.
Vedremo queste masse di «diseredati» al Forum di Tunisi?
Difficile. Molti, anche se hanno una voglia enorme di discutere e cambiare, non sanno neanche che c’è il forum e vedono ancora Tunisi come la città  dei ricchi. Il più grande aiuto che può darci la società  civile mondiale è la costruzione di un Forum sociale partecipato da chi soffre di più. Dopo la rivoluzione, qui sono arrivati tanti soldi per strutturare il processo democratico e stabilizzare il paese cosicché gli investimenti stranieri possano tornare in miniere e agricoltura industriale, come ai tempi di Ben Alì quando il Pil cresceva anche del 7%. Ma sono proprio quegli investimenti che hanno creato masse di diseredati. Anche la sinistra non capisce ancora il problema appieno.
Diseredati espropriati di cosa?
Ai più poveri è stata tolta l’acqua sbarrando i fiumi con dighe per alimentare il turismo o l’agricoltura intensiva pensata per l’export. Anche al confine con la Libia, zone commerciali gestite in maniera molto anarchica, ma a vantaggio almeno in parte delle comunità  locali sono state represse da Ben Alì e dalla mafia dell’export. Qualcosa che ha generato le prime rivolte.
E queste continuano anche oggi?
La rivoluzione è un processo, richiede ancora anni, e soprattutto un’organizzazione sociale e politica. Come in Egitto, non è come la raccontano i media mainstream. La rivolta è iniziata già  dal 2006. Così da noi oggi gli scioperi e la resistenza continuano, non rappresentati dalla politica. Proprio per questo l’instabilità  continuerà , perché la crisi sociale è strutturale e sempre più ampia.
* Re:Common


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