Il doppio binario su governo e regole

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ROMA — La chiave per risolvere la crisi nella quale siamo impaludati dopo il voto è forse nel «doppio binario» del quale ha fatto cenno Pier Luigi Bersani. Vale a dire in una combinazione politico-istituzionale che riesca a sdoppiare le questioni sul tappeto. Da una parte il tavolo del governo, con la sua agenda, le sue priorità , i margini della sua maggioranza (per quanto modesta possa essere). Dall’altra parte il tavolo delle riforme di cui ha bisogno urgente il Paese, e che potrebbero vedere più ampie convergenze, compreso un coinvolgimento diretto del Pdl, se si istituisse una «convenzione» — o una «commissione redigente» — ad hoc, che si dedichi in esclusiva a tale tema. E alla cui guida potrebbe essere utilmente indicata una personalità  dell’opposizione.
È su questo orizzonte a piani diversi e paralleli che Giorgio Napolitano riflette, a conclusione del primo passaggio di sua competenza per avviare una nuova fase politica. Il percorso che adesso ha davanti il segretario del Pd, dopo il preincarico ottenuto ieri pomeriggio, è irto di ostacoli e il presidente della Repubblica li ha ben chiari poiché gli sono stati rappresentati uno a uno durante le consultazioni. Tuttavia non gli restava altra possibilità  che concedere un tentativo al titolare della «vittoria mutilata», privo di una maggioranza simmetrica alla Camera e al Senato, nella speranza che la sua sfida non si traduca in una falsa partenza e in una perdita di tempo. 
Certo, date le multiple emergenze che ci assediano, il capo dello Stato avrebbe preferito tenere a battesimo un governo che nascesse su una base di larghe intese. Una prospettiva che ha però visto evaporare già  a dicembre, quando il partito di Berlusconi ha fatto cadere in anticipo l’esecutivo tecnico, azzerando qualsiasi comune denominatore tra centrodestra e centrosinistra. La campagna elettorale cominciata allora ha avvelenato i pozzi e riportato su toni esasperati e inconciliabili il confronto. 
La sola chance per riaprire le comunicazioni fra le tre grandi minoranze uscite dalle urne, ma soprattutto tra fronti di Pd e Pdl date le rigide chiusure del Movimento 5 Stelle, gli sembra quella di non confondere i piani. Altrimenti anche la più timida prova di dialogo finirebbe per bloccarsi. Da un lato — come ha suggerito a Bersani — c’è il problema di far costituire il governo e di prendere al più presto le misure necessarie a far ripartire la crescita, nel solco europeo. E dall’altro lato, in parallelo ma su una sfera distinta, c’è la questione di riaprire il cantiere delle riforme, che per lui sono una necessità  altrettanto inderogabile.
Fra poco si saprà  se questo schema ha una vera possibilità  di affermarsi concretamente. Il mandato conferito al segretario del Pd — un «preincarico», secondo la classificazione corretta dal Quirinale — è del tutto simile a un paio di precedenti che ci riportano all’era della presidenza Scalfaro. Quello del 13 ottobre 1998, con un mandato analogo affidato a Romano Prodi, il quale fallì nell’impresa di assicurarsi una fiducia di cui non disponeva. E quello risalente a tre giorni più tardi, con l’investitura di Massimo D’Alema, che ebbe invece successo grazie al soccorso delle cosiddette «truppe mastellate» messegli a disposizione da Francesco Cossiga. 
Oggi come allora si tratta di un «incarico a riferire», con conclusioni positive e concrete, «l’esistenza certa» di una maggioranza. Cioè di un accordo certificato dai numeri, mentre non ammetterebbe una scommessa per andare alla cieca in Parlamento. E se il premier preincaricato credesse di potersi far avallare qualche formula alternativa all’esplicito voto di fiducia (magari rievocando precedenti come quello che nel 1976 fece nascere un pentapartito grazie all’incrocio di astensioni e non-sfiducia), il presidente della Repubblica ne vorrebbe comunque una dimostrazione sicura. Fermo restando, in ogni caso, che per lui la fiducia non significa di per sé maggioranza.
Una rigida e molto stretta griglia di condizioni che, come spiega Enzo Cheli, costituzionalista citato ieri al Quirinale per rivendicare l’ampia libertà  d’azione del capo dello Stato, non rappresenta comunque un «incarico depotenziato, quanto semmai “condizionato”, perché chi l’ha ricevuto deve compiere una verifica dal momento che non esiste ancora chiarezza sulla maggioranza». Su questo sfondo vincolante, la lunga spiegazione che Napolitano ha letto davanti alle telecamere mirava a far capire ai cittadini e al mondo politico che, anche rifacendosi a un vasto deposito di prassi e consuetudini, non esistevano alternative, per lui. Un discorso per indicare come ci si può muovere per uscire dall’impasse. E per mettere agli atti, al di là  del gioco politico, la posizione che ciascuna forza politica ha ufficializzato davanti a lui. Bersani non ha una scadenza prefissata per chiudere il cerchio. Diciamo due o tre giorni, che potrebbero diventare di più se avrà  bisogno di stringere su qualche nodo. Serve un moto di saggezza da parte di tutti, dicono al Quirinale. Intendendo il Pdl.
Marzio Breda


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