2015, dimezzare la sete del mondo

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La salute del mondo acquatico si può raffigurare come un’onda, con i suoi picchi problematici, le sue discese confortanti, persino per la sua elasticità  che sfida le previsioni più fosche. Di acqua ce n’è sempre meno, ma da almeno un secolo si moltiplicano gli accordi tra i Paesi per condividerla; quasi un miliardo di persone non ha accesso alla potabile e, ogni anno, in sei milioni perdono la vita a casa della sua scarsità . È stato nel 2010 che l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha deciso di dedicare tutto il 2013 a questo tema.
E oggi la Giornata Mondiale dell’Acqua, istituita nel 1992, diventa un cardine intorno al quale, per tutto l’anno, ruoteranno incontri, festival, dibattiti. Un messaggio lungo, dunque, coordinato dall’Unesco, che passa dal Projeto Biodiversidade a Rio Grande do Sul, in Brasile (il 10 maggio) al Seminar Water Management a Bissau, in agosto. C’è il Reel Water Film Festival, nel Wisconsin, e c’è lo SciFest 2013 in Finlandia. Iniziative ovviamente anche oggi: restando in Italia, a Firenze c’è un flash mob virtuale e a Roma l’Accademia dei Lincei propone il tema delle calamità  idrogeologiche (informazioni sul sito unwater.org). Uno degli obiettivi del programma di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite è quello di rendere «l’onda» meno bizzosa e più stabile. Con il contributo di tutti i Paesi, perché tutti sono coinvolti.
La prevenzione dei conflitti
«Cooperazione per l’acqua significa fare un passo avanti verso la prevenzione dei conflitti e la ripartizione delle risorse idriche — afferma Alice Aureli, del Programma idrologico internazionale dell’Unesco — E la sfida immediata è quella di dimezzare, entro il 2015, la percentuale della popolazione mondiale che non ha accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari di base». Se è vero che, stando alle ultime ricerche dell’Onu, servirebbero tre pianeti e mezzo come il nostro per soddisfare le attuali esigenze della Terra (se tutti, nel mondo, vivessimo come i Nordamericani e gli Europei), è anche vero che passi avanti, in questi anni di sensibilizzazione intensa, sono stati fatti. «I prelievi di acqua sono diminuiti in gran parte dell’Europa occidentale — continua Aureli —. La gestione delle risorse idriche è migliorata grazie soprattutto alla crescita delle capacita tecnico-scientifiche dei gestori».
Ma l’onda metaforica non è affatto univoca, anzi, si presenta con lunghezze diverse al suo interno. Ci sono, per esempio, delle differenze tra Stati occidentali ad economie avanzate. «In Canada — continua la ricercatrice — i prelievi idrici totali sono aumentati costantemente nel corso degli ultimi decenni, mentre sono stati relativamente costanti negli Stati Uniti a partire dalla metà  degli anni Ottanta, questo nonostante la continua crescita della popolazione». Eppure, alla fine, l’onda è un’onda. Sale e scende in autonomia, seguendo le lune del mare, come nei quadri del pittore russo Il’ja Repin. E così fanno paura i Paesi in ascesa, quelle economie emergenti che consumano risorse idriche per la costante fame di energia. Questione di dettagli, inesorabili, inscritti nel futuro prossimo: molte popolazioni passano rapidamente da un’alimentazione a base di vegetali e cereali a un’altra che si impernia su latticini e proteine. È qui che il bisogno di acqua si alza a dismisura. E poi ci sono i casi a parte. «Nonostante la marcata transizione verso una economia postindustriale, la domanda di acqua rimane elevata in Europa orientale, Asia centrale e il Caucaso». Ne hanno bisogno per l’agricoltura e per l’attività  estrattiva dei minerali.

Quelle acque «invisibili»
L’agricoltura e l’industria, ovviamente, sono oggetto di un insistente monitoraggio. La lavorazione della terra «assorbe» il 70 per cento dell’uso di acqua dolce e si prevede che aumenterà  del 19 per cento nel 2050. Certo, servono tecnologie più raffinate per evitare la cannibalizzazione delle risorse, però le sfide delle Nazioni Unite sono come i fiumi carsici: affiorano intempestive e sorprendenti. «Per esempio — dice Aureli — c’è il nodo dell’estrazione delle acque invisibili, sotterranee. L’Unesco ha calcolato che esistono quasi 500 bacini acquiferi transfrontalieri nel mondo. Dalla gestione condivisa e pacifica di queste risorse dipenderà  la sicurezza idrica e alimentare di molti di noi nei prossimi anni».
Già , quell’acqua «invisibile» che attraversa i confini e che causa conflitti, da sciogliere con delicate trattative internazionali. Ma sono punti scottanti. Si pensi solo alla falda che corre dal confine libico sotto il Darfur verso il Nilo. Nel conflitto arabo-israeliano, la spartizione e l’uso delle risorse idriche è fra le questioni chiave. Nel suo libro Le guerre dell’acqua, l’attivista indiana Vandana Shiva fa notare che molte guerre nate dalla corsa all’acqua vengono fatte passare per conflitti etnici o religiosi. E non è casuale che, nel nostro Paese, una delle discussioni più accese degli ultimi mesi sia nata intorno all’ipotesi della privatizzazione della risorsa idrica. Infine, c’è il problema della desertificazione di intere aree. «L’evoluzione climatica sta facendo peggiorare le condizioni di aridità  in molti Paesi — dice Alice Aureli — A livello globale, la desertificazione, il degrado del suolo e la siccità  colpiscono un miliardo e mezzo di persone. Fenomeni di maggiore impatto in Africa, continente considerato desertico per due terzi».
L’educazione al risparmio
Insomma, dell’acqua si avverte un bisogno continuo, sempre per nuovi scopi (per dire, è fondamentale nelle manifatture ad alta tecnologia e per la produzione di energia idroelettrica). Ecco perché L’Onu sottolinea l’importanza dell’impegno individuale, di una profonda educazione al risparmio delle risorse a cominciare dall’infanzia. «Già  â€” conclude la ricercatrice —. Nonostante i passi avanti, bisogna fare ancora molto. La lotta agli sprechi non è ancora una realtà  nei Paesi occidentali: a tutt’oggi i sistemi urbani e industriali non si possono considerare realmente effettivi nel risparmio idrico»


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