La doppia partita di Pierluigi “Ho i numeri per andare alle Camere il Colle e il mio partito lo sappiano”

Loading

«VOGLIO presentarmi alle Camere con un governo di cambiamento ». È la richiesta che Bersani porterà  a Napolitano domani. È ANCHE il passaggio chiave che lo divide dal presidente della Repubblica. Perché appare ormai chiaro: dalle consultazioni che cominciano oggi, non uscirà  una maggioranza certificata al Senato. Il Movimento 5stelle e la Lega infatti non daranno un via libera ufficiale. Solo Scelta civica è pronta a pronunciare il suo sì davanti al capo dello Stato. A questo punto, non è difficile pronosticare un braccio di ferro tra il Colle e il centrosinistra. Per allentare la tensione, Napolitano sta già  pensando a un secondo giro di consultazioni.
Sul piano formale il rapporto col Quirinale è stato ricucito negli ultimi giorni da Bersani e da altri interlocutori democratici. Ma la sostanza dei numeri non è cambiata, nemmeno dopo il colpo di scena dell’elezione di Laura Boldrini e Pietro Grasso. Con i senatori di Mario Monti, il Pd può contare su 146 voti (il neopresidente non vota). Ne mancano 12 per avere la maggioranza assoluta. Questo “buco”, il segretario è convinto di poterlo colmare col programma e con una lista di ministri ispirata al metodo “Grasso-Boldrini”: volti nuovi e a sorpresa. Con una sola eccezione: la casella dell’Economia è già  sicura per Fabrizio Saccomani, attuale direttore generale di Bankitalia. Rappresenta la polizza di garanzia presso i mercati e la Bce.
Al centrosinistra non mancano gli esterni e le competenze, anche fra i neoeletti. Non si va lontano dalla realtà  indicando come possibili ministri Carlo Petrini, inventore di Slow Food e padre fondatore del Pd; Giampaolo Galli, ex direttore generale di Confindustria e neodeputato; Massimo Mucchetti, senatore ex editorialista del Corriere; Fabrizio Barca. Accanto a loro resistono gli identikit di Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà , graditi ai movimenti e ai 5stelle.
Profili e programma però non sono sufficienti. Il rischio della falsa partenza, ossia di un governo che si presenta in Parlamento ma non ottiene la fiducia,
resta alto. Bersani si richiamerà  ad alcuni precedenti. A cominciare dal primo governo Berlusconi, partito nel 1994 senza la maggioranza al Senato, maggioranza strappata grazie al voto di tre senatori a vita. «Ma c’è anche il De Gasperi VIII nel ‘53, che non ottenne la fiducia — ricorda ai suoi il leader del Pd —. E nel ‘76, Andreotti non era certo di avere l’astensione del Pci per l’esecutivo di solidarietà  nazionale». Saccomani è certamente la figura giusta per confermare gli impegni internazionali e la stabilità  economica in vista «della scadenza di un pacchetto enorme di titoli pubblici tra maggio e luglio», spiega Bersani. Ma ancora non basta.
In Parlamento, il premier designato si presenterebbe annunciando non un governo di legislatura, ma un esecutivo a termine, «anche di un anno. Poi si verifica se ci sono le condizioni per andare avanti». Sono argomenti che Napolitano ha già  avuto modo di ascoltare nei colloqui informali, ma che non allontano lo spettro di un salto nel buio.
Per agganciare i grillini, il Pd è pronto a votare i loro candidati questori e vicepresidenti senza chiedere in cambio il sostegno ai propri candidati. Le dichiarazioni di Roberto Maroni, che pure si presenterà  al Colle con Berlusconi, vengono considerate a Largo del Nazareno un’apertura, seppure timida. Su Monti, invece, si può contare da subito: i parlamentari di Scelta civica voteranno Bersani. In questo modo, il premier conta di rientrare nel gioco, dopo il pasticcio sulle presidenze delle Camere. Nel suo mirino infatti c’è sempre l’elezione del nuovo capo dello Stato, anche se al Pd considerano in ascesa le quotazioni di Grasso. Un candidato da offrire anche al Pdl, molto pentito di aver puntato su Schifani sabato, e che ha avviato il dialogo con Grillo tagliandosi l’indennità  del 30 per cento.
Il sentiero stretto preoccupa anche il Partito democratico. Soprattutto quelli che puntano a un “dopo”, se Bersani fallisce. «Il timore c’è», ammette un bersaniano. Da Massimo D’Alema a Matteo Renzi, una parte del Pd considera sbagliato entrare in carica senza avere la fiducia. Un primo segnale di dissenso alla linea del segretario è stato registrato ieri durante la votazione del capogruppo alla Camera Roberto Speranza. Novanta voti dispersi su 290 sono tanti, anche se non è insolito lo “sfogatoio” nel segreto dell’urna. Chi scommette su elezioni vicine, come il sindaco di Firenze, non è convinto che il modo migliore per arrivarci sia avere Bersani a Palazzo Chigi, sconfitto nelle urne e nelle aule parlamentari. Altri, come D’Alema, continuano a non escludere il piano B, ossia un governo del Presidente con il Pdl, sapendo che il Quirinale comincia il giro di consultazioni con una sola certezza: «Il presidente farà  tutto il possibile per evitare un altro scioglimento delle Camere».


Related Articles

Casini apre sul premio, no del Pdl

Loading

Bersani ancora in pressing: «Pronto a un Vietnam parlamentare» Quagliariello e la variabile Grillo: «Se il bonus va a lui, si torna al voto»

Milano stufa di malaffare e padroni immobiliari ora Letizia teme la “breccia”

Loading

Il sindaco uscente dovrebbe contare su 20 milioni per la campagna. Pisapia non arriva a uno. Col candidato del centrosinista un pezzetto di borghesia illuminata guidata da Piero Bassetti Tabacci: il premier non è più un valore aggiunto ma sottratto tanto che il sindaco spera di non vederlo

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment