Bersani ai suoi: governo anche solo di due anni

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ROMA — «Ragazzi, si può andare avanti: c’è la concreta possibilità  di fare un governo». Pier Luigi Bersani è convinto che dall’altro ieri si sia aperto uno spiraglio e cerca di galvanizzare i suoi. Con questa spiegazione: «Ieri tutti quelli che volevano il governissimo sono stati sconfitti: l’elezione di Grasso al Senato dimostra che non c’è una maggioranza alternativa alla nostra. Insomma, ora siamo più forti e legittimati per chiedere un mandato». Bersani è fiducioso: «Sono pochi quelli che vogliono veramente andare a votare. La Lega, per esempio, ha bisogno di tempo».
Già , il Carroccio. Raccontano che l’elezione di Laura Boldrini sia stata interpretata da Roberto Maroni come una chiusura. Ma così non è. Tant’è vero che Stefano Fassina, intervistato dall’Avvenire, dichiara: «La Lega sa che Bersani ha una cultura autonomista non improvvisata ed è un interlocutore affidabile, ci può essere attenzione reciproca».
Quindi c’è il capitolo Grillo. Come spiega il segretario del Pd: «Lì dentro si è aperto un confronto politico e questo è un fatto positivo. La verità  è che se si va sul loro terreno si aprono delle brecce. Perché ci saranno delle occasioni in cui dovranno decidere se stare con il centrosinistra o con Berlusconi».
Infine, i montiani, perché servono anche loro per un futuribile governo. Bersani non nasconde «l’amarezza» per l’atteggiamento del premier, tant’è vero che l’altro ieri si è negato al telefono quando Monti lo cercava. Però da politico pragmatico sa che con il centro bisognerà  comunque arrivare a un accordo se si vuole dare vita a un governo. Che, secondo Bersani, potrebbe durare non meno di due anni, due anni e mezzo, «nonostante la fragilità  di questa legislatura».
Infatti nel programma su cui il leader del Pd intende far convergere anche le altre forze politiche sono previsti: il «superamento del finanziamento pubblico», compensato da «un sistema di piccole contribuzioni private assistite da parziali detrazioni fiscali»; il dimezzamento dei parlamentari (da 630 deputati a 300, da 315 senatori a 150); l’equiparazione dello stipendio dei parlamentari a quello di un sindaco di un capoluogo di provincia; l’istituzione di un tetto per i dirigenti pubblici.
Un governo che deve fare queste riforme ha bisogno di tempo, perciò, per dirla con Bersani, «una volta che è partito, poi è difficile staccargli la spina, perché chi si prende la responsabilità  di affossare le riforme? Grillo?». Il quale Grillo, sia detto per inciso, continua a crescere nei sondaggi a disposizione del Partito democratico. Ormai ha oltrepassato quota 30 per cento. Certo, bisogna vedere se dopo le ultime mosse di Bersani (l’elezione di Laura Boldrini e Piero Grasso) e il confronto interno che si è avviato dentro il Movimento 5 stelle i nuovi sondaggi, tra qualche giorno, registreranno un’inversione di tendenza. Ma per ora la situazione è questa.
Perciò una parte non indifferente del Pd dubita che in caso di insuccesso di Bersani si vada a votare a giugno. Perché per il centrosinistra le elezioni anticipate possono rivelarsi un azzardo pericoloso. Quindi c’è chi — non Bersani — ipotizza un governo del Presidente presieduto da Grasso o un altro esponente estraneo ai partiti. Ma c’è pure chi — tra i bersaniani — in caso di fallimento punta alle elezioni con Renzi candidato. Il sindaco, invece, non ci pensa. Come ha spiegato ai suoi l’altro giorno: «Se si fa un governo che dura una legislatura per me è anche meglio. Mi ricandido a sindaco e ho il tempo di rafforzarmi nel partito e all’esterno».


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