Le armi ai ribelli siriani nascondono crac di Cipro e l’aumento dei deficit
Neppure sul divieto ai pesticidi che sterminano gli insetti i 27 paesi dell’Ue trovano convergenza Nel giorno della conclusione del Consiglio europeo, gli esperti dei 27 paesi, riuniti a Bruxelles, non lontano dai capi di stato e di governo, non sono riusciti a mettersi d’accordo sulla proposta della Commissione di bandire per due anni l’utilizzazione di insetticidi tipo Cruiser, Regent o Gaucho, estremamente dannosi per le api, che sono in netta diminuzione in Europa. 13 paesi hanno votato a favore (tra cui Italia e Francia), 9 contro (tra cui Grecia, Austria, Romania, Repubblica ceca), ma l’astensione di Germania e Gran Bretagna ha bloccato per la seconda volta l’adozione di una risoluzione che avrebbe permesso un inizio di salvataggio delle api. La storia delle api si è ripetuta al Consiglio europeo. Malgrado i 26 milioni di disoccupati (19 nella sola zona euro) e la disperazione che cresce, di fronte agli effetti politici tangibili della sfida verso l’Europa, tutte le decisioni importanti sono state rimandate a più tardi.
Lo scontro tra rigore e rilancio non è stato risolto. E a questo fronte se ne è aggiunto un altro: la Siria e la levata dell’embargo. Francia e Gran Bretagna si sono dette pronte ad agire, cioè a consegnare armi ai ribelli rompendo l’embargo, se gli altri paesi non accetteranno di cambiare la politica europea. I ministri degli esteri si riuniranno a Dublino il 22 e 23 marzo per prendere una decisione. In politica estera, il voto è all’unanimità : a Parigi e Londra basta porre il veto al prolungamento dell’embargo per bloccare la politica europea. La Germania, assieme a Svezia, Danimarca, Belgio e Olanda sono molto reticenti a fornire armi ai ribelli, pensano che più armi ci sono più ci saranno morti. Hollande ha cercato di rassicurare: abbiamo l’esperienza libica alle spalle, faremo in modo che le armi non vadano ai gruppi sbagliati (cioè agli islamisti). Ma per Hollande e Cameron l’Europa deve muoversi, in due anni di guerra civile in Siria ci sono stati 70mila morti e Assad ha l’appoggio di Russia e Iran. Parigi spera, in realtà , che questa minaccia spinga Assad ad accettare una trattativa.
La divisione tra europei permane anche sul fronte dell’economia. Il summit è stato «sereno» ha detto il presidente del Consiglio, Herman Van Rompuy, le discussioni non si sono prolungate nella notte, non ci sono state porte sbattute. Ma non è stata presa nessuna decisione fondamentale. Per Hollande, che ha già ammesso che la Francia non rispetterà quest’anno l’impegno di riportare il deficit al 3 per cento (sarà il 3,7 per cento), «quando c’è impegno per il risanamento del bilancio, ci può essere maggiore flessibilità » nell’applicazione dei tempi del rientro dei deficit.
È la stessa posizione della Spagna e dell’Italia. Mario Monti ha fatto presente i rischi politici di troppa rigidità , ha messo in avanti gli sforzi fatti da Roma e ha chiesto che vengano utilizzate tutte le possibilità offerte dal quadro europeo per lasciar respirare le economie in crisi, «un’azione effettiva a favore della crescita e contro la disoccupazione sarebbe il miglior messaggio per lottare contro l’ondata di populismo». Ma Angela Merkel non cede. Per lei, la sconfitta di Monti in Italia è dovuta soltanto al fatto che «non è stato sufficientemente a lungo al potere per raccogliere i frutti delle riforme». Hollande ha insistito perché al rigore nazionale si affianchi il rilancio europeo. Gli strumenti sono conosciuti (e non sono gran cosa): a giugno si dovrebbe sapere dove verranno investiti i 120 miliardi del Patto per la crescita, ancora fantasma, ci sono 60 miliardi di nuovi prestiti della Bei, dei projet bonds per 4-5 miliardi e infine la «garanzia gioventù» proposta dalla Commissione: 6 miliardi per offrire una formazione o un contratto ai disoccupati di meno di 25 anni negli 8 paesi dove i giovani senza lavoro superano il 30 per cento (si tratta solo di 100 euro a testa che non ci saranno prima del 2014). In discussione ieri anche il salvataggio di Cipro, che è sull’orlo della bancarotta.
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