Il nuovo Papa «Ora pregate per me» Il primo Papa sudamericano

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ROMA — La Chiesa ha una storia millenaria, ma può essere rivoluzionata in cinque minuti: i cinque minuti tra le 20 e 22 e le 20 e 27 di ieri. Un Pontefice che tra cerimonieri increduli si affaccia dalla loggia senza la mozzetta rossa, simbolo del potere dei predecessori, con una croce semplice anziché quella dorata, che non si definisce mai Papa ma «vescovo di Roma», che prima di benedire i fedeli chiede a loro di pregare il Signore perché lo benedica, che si inchina alla folla anziché attendersi inchini. E poi il nome, mai sentito prima in piazza San Pietro, quasi una sfida al mondo vecchio: papa Francesco.
La folla ha capito. E gli ha subito voluto bene. Nel giro di un’ora, in un capogiro di emozioni collettive, è passata attraverso il giubilo per la fumata bianca, la tensione dell’attesa, la delusione nel non sentire il nome di un italiano, lo stupore per la scelta di Francesco, l’ammirazione per l’umiltà  e insieme il coraggio del nuovo Pontefice. Che è figlio di un italiano, ha scelto il nome del patrono d’Italia, è stato salutato dall’inno di Mameli. Ma è nello stesso tempo molto di più: il primo Papa gesuita, il primo Papa a chiamarsi come il poverello di Assisi, il primo Papa sudamericano. Venuto «quasi dalla fine del mondo».
L’unico paragone possibile è con il 16 ottobre 1978. Anche allora a San Pietro pioveva ed era buio, quando fu annunciato il nome a quel tempo oscuro di Karol Wojtyla, che presto diradò lo sconcerto con parole ancora ricordate e si fece amare fin dalla prima sera. Allo stesso modo, Jorge Mario Bergoglio (Flores, 17 dicembre 1936) si è fatto riconoscere fin dai primi indimenticabili minuti del suo pontificato come l’uomo di Dio che a Buenos Aires non dorme nel palazzo episcopale ma in un piccolo appartamento, non gira sull’autoblù ma in autobus, non ha camerieri ma si prepara la cena da sé, non fa vita di mondo ma va a letto alle 9 e mezza e si sveglia alle 4 del mattino. Anche per questo ieri sera ha congedato i fedeli, come fossero amati parrocchiani, con un «buona notte e buon riposo». Prima però li ha incantati, con le parole e più ancora con i gesti, mai visti prima: non ha spalancato le braccia, è apparso anzi trattenuto; la sua solennità  è stata essenziale, espressa in pochi passaggi, tutti senza precedenti.
Quasi cavandosi le parole una a una, ha pregato la folla di «farmi un favore», ha invocato la benedizione di Dio tramite l’intercessione popolare, e solo dopo ha benedetto a sua volta, senza intonare canti o litanie, con la massima semplicità . Prima ha chiesto di pregare «per il nostro vescovo emerito Benedetto XVI, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca», e ha recitato — in italiano — il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria. Ha definito anche se stesso sempre e solo «vescovo di Roma», mai Papa. Ha citato «il mio vicario qui presente», indicando il cardinale Agostino Vallini, che pareva sul punto di svenire dalla felicità . Per sé ha chiesto di pregare «in silenzio». E ha proposto di cominciare insieme «un cammino di fratellanza, di amore e di fiducia tra noi».
Proprio questo voleva ascoltare la folla che al suono delle campane ha gremito la piazza, via della Conciliazione, i tetti del quartiere, premendo contro le postazioni affittate a prezzi folli dalle tv americane sul Gianicolo, arrampicandosi sulla base dell’obelisco, protendendosi in ogni modo verso il nuovo Papa. È di fratellanza, amore, fiducia che il mondo all’evidenza avverte la necessità , in una stagione di crisi globale e di disorientamento nel Paese che circonda il Vaticano. Anche per questo la fumata che pareva annunciare un Papa italiano è stata accolta con gioia, pure la Cei è caduta in errore diramando una nota per congratularsi con Scola, ma il Conclave aveva scelto invece il figlio di Mario Bergoglio, il ferroviere nato a Portacomaro, vicino ad Asti, ed emigrato a vent’anni verso «la fine del mondo». Suo figlio oltre allo spagnolo, all’inglese, al francese, al tedesco e al latino parla il dialetto piemontese e conosce a memoria «Rassa nostrana», il canto degli emigranti. Ma ieri sera è andato oltre le nazionalità , ha parlato il linguaggio universale dei simboli in cui tutti si sono riconosciuti, anche i filippini che speravano in Tagle, anche i venditori singalesi di ombrelli che sognavano Ranjith. Un linguaggio che ha sconcertato qualche curiale dal volto stupefatto, ma è piaciuto alla vecchia guardia wojtyliana che aveva sorrisi di riscatto, come quello visto a Giovanni Battista Re. Quasi tutti i cardinali però apparivano felici e sollevati, nell’affacciarsi alle logge dopo un giorno e mezzo di clausura, come per vedere se la folla apprezzava la sorpresa che le avevano fatto.
Sventolano tutte le bandiere della cristianità , i tricolori insieme con i vessilli brasiliani, americani, messicani, spagnoli, bavaresi, indiani, libanesi; molti i pellegrini dell’Est europeo, polacchi, croati, slovacchi. E poi le bandiere biancocelesti dell’Argentina, poche ma agitate con vigore dai connazionali che raccontano sul nuovo Papa un mare di aneddoti, compreso qualcuno che forse non sarà  mai confermato: «Entrò in seminario a 22 anni dopo aver lasciato una fidanzata», «quando fu nominato cardinale disse a chi aveva prenotato il biglietto per Roma di restare a casa e dare i soldi ai poveri», «andò dal dittatore Videla a chiedere la liberazione di due confratelli»; e questo risulta anche alle madri di Plaza de Mayo, durissime con la gerarchia cattolica ma sempre rispettose verso Bergoglio.
Nelle prime parole — «evangelizzazione», «tutto il mondo» e ancora «fratellanza» e «amore» — c’è l’eco dell’omelia di Sodano, che nella messa per l’elezione del Pontefice aveva esaltato il ruolo universale della Chiesa e della sua carità . Ma, dopo aver evocato la patria lontana, il pensiero di Bergoglio è andato a Roma e alla «comunità  diocesana»; del resto, a Buenos Aires era amico dei suoi preti, che avevano un numero dove chiamarlo anche di notte. Solo una volta si ingarbuglia con l’italiano, quando dice «facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me»; ma è una formula talmente inconsueta che forse non ci sono altre parole per dirlo. Poi un altro segno di umiltà : «Grazie tante per l’accoglienza. Pregate per me, e a presto. Domani voglio andare a pregare la Madonna perché custodisca tutta Roma. Ci vediamo presto».
I fedeli non vedono l’ora di rivederlo, ed esplodono nel grido di «viva il Papa!». Poi lasciano la piazza lentamente, molti con le foto dei predecessori sotto il braccio, ognuno con il Papa della sua generazione: gli anziani con papa Giovanni, gli adulti con Paolo VI, i giovani con Giovanni Paolo II, i ragazzi con Benedetto XVI, che da Castelgandolfo ha assistito all’elezione dell’uomo che otto anni fa in conclave gli cedette il passo. In molti si chiedono incuriositi quali saranno le prossime mosse di Francesco. Il giovedì santo, Bergoglio non ha mai celebrato la lavanda dei piedi in cattedrale ma ogni anno in un posto diverso: nell’ospedale Muà±iz per malati di Aids, nel carcere di Devoto, in un ricovero per senzatetto, in un ospedale pediatrico. Una volta lavò i piedini dei neonati di un reparto maternità . Chissà  cosa farà  ora nella settimana santa, si chiedono i fedeli che rientrano a casa, senza più badare alla pioggia, ai clacson degli automobilisti anche loro in festa, al Tevere gonfio e impetuoso; tanto per oggi è previsto il sole. Non lo dicono, ma tutti già  sentono che sarà  chiamato a dure prove e dovrà  affrontare grandi ostacoli; ma sarà  un Papa straordinario.


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