Mossa del capo dello Stato per evitare strettoie giudiziarie fino a metà  aprile

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Siamo quasi allo scontro finale, almeno per come sembrano viverlo il capo del centrodestra, Silvio Berlusconi, e, forse, alcuni dei suoi giudici. Con il rischio che si produca «una spirale di tensioni destabilizzanti per il sistema democratico». Pericolo tanto più temibile, dal suo punto di vista, in questa fase critica di un dopo-voto che ci ha consegnato tre minoranze e quasi nessuna prospettiva di veder nascere un governo.
C’è vasta e problematica materia di riflessione, per toghe e politici, nella doppia nota che il presidente della Repubblica — e del Csm — ha fatto diffondere al termine di una giornata fitta d’incontri e di analisi incrociate, al Quirinale. Testi che ha scritto e limato di proprio pugno, assumendosi personalmente (e lo evidenzia l’uso della prima persona) la responsabilità  di una mediazione difficilissima, nell’estremo tentativo di imporre un armistizio alle parti. Un passo che sentiva di «dover compiere», per dare uno sbocco democratico alle elezioni.
Una scelta non semplice, quella del capo dello Stato. Dominata dalla consapevolezza di quanto fosse stretto il passaggio che aveva di fronte, in particolare nel mezzo di un conflitto così feroce, e di tenere saldo il suo ruolo di garanzia sia nei confronti della politica sia dei magistrati. Non a caso il Pdl, nel chiedergli lunedì un’udienza, aveva sottolineato la sua funzione di vertice del Consiglio superiore della magistratura. E per dare un segno formale di rispetto del Csm e attribuirgli solennità , ha invitato il comitato di presidenza sul Colle, condividendo l’appello con il proprio vice, Michele Vietti.
Ora, non c’è dubbio che, accanto al «rammarico» (leggibile, nel lessico quirinalizio, alla stregua di una censura) per ciò che i parlamentari berlusconiani hanno messo in scena nelle aule del palazzo di giustizia di Milano l’altro ieri e sfociato «in una manifestazione politica senza precedenti», il primo assillo di Napolitano è il peso che l’escalation di tensioni con le Procure potrà  avere sulle imminenti scadenze istituzionali. E se è vero che quel tipo di protesta è — e resta — per lui un’inammissibile pressione nei confronti di un organo dello Stato autonomo e indipendente, è altrettanto vero che la magistratura dovrebbe dimostrare «grande attenzione» nelle prossime settimane, in modo da evitare «interferenze tra vicende processuali e vicende politiche».
Vale a dire che il Cavaliere, leader dello schieramento che, come numero di parlamentari, «è risultato secondo a breve distanza dal primo», deve «veder garantita» la possibilità  di «partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già  in pieno svolgimento». Fase che, aggiunge eloquentemente, «si proietterà  fino alla seconda metà  del prossimo mese di aprile». (Quando saranno finite le consultazioni per formare un nuovo esecutivo e il Parlamento comincerà  a votare per il dodicesimo presidente della Repubblica).
Questa era la «preoccupazione comprensibile» che gli avevano espresso i rappresentanti del Pdl in mattinata, senza peraltro azzardarsi a riproporre davanti a lui il già  minacciato Aventino in aula. E questa pare anche la sua, di preoccupazione, tenendo presente lo stallo dei negoziati tra i partiti e l’incombere degli adempimenti preliminari indispensabili per l’insediamento delle Camere e la partenza della legislatura. La tenaglia di tribunali e procure, sembra insomma di capire, imporrebbe un supplemento di prudenza. Per evitare provocazioni, strumentalizzazioni, tensioni.
Qualcuno, nel decrittare il segnale lanciato da Napolitano, evoca la ragion di Stato. Quasi che, fra i suoi intenti, ci sia quello di suggerire ai giudici un rallentamento della loro azione, in nome appunto di un interesse superiore. Ossia: il varo della legislatura e la messa in sicurezza del Paese, oggi più che mai sorvegliato speciale delle Cancellerie e dei mercati, con il tentativo di dare vita a un governo.
Interpretazione plausibile, con l’aria che tira. Ma che è di sicuro opportuno valutare insieme ad altre sue frasi di forte significato. A partire dal richiamo, rivolto chiaramente a Berlusconi, in maniera che si convinca che «nessuno può considerarsi esonerato dal controllo di legalità  in forza dell’investitura popolare ricevuta». E comprendendo l’avvertimento a quei giudici che pensano di «attribuirsi missioni improprie», mentre debbono tutti osservare «scrupolosamente i principi del giusto processo» e i «diritti della difesa».


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