Il Quirinale chiama l’adunata

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Il capo dello stato però è ancora in campo, e anche questa volta – come nel novembre 2011 – il suo primo obiettivo è condurre in porto la formazione di un governo. Il segretario del Pd Bersani ripete di avere solo un «piano A», il suo ingresso a palazzo Chigi con il sostegno del Movimento 5 Stelle. Ma a Napolitano l’alternativa tra quel piano e il ritorno alle urne non basta. In mezzo alle due opzioni c’è il tentativo di formare un nuovo «governo del presidente», con pochi punti programmatici. Non un esecutivo tecnico, ma nemmeno con ministri «targati». Guidato da una personalità  gradita al Pd. La nebbia è fitta, «si fa fatica», diceva l’altro giorno l’inquilino del Quirinale, ma «si diraderà , vedrete», cerca ora di mostrarsi più ottimista.
 Il capo dello stato parla della situazione post-voto durante la cerimonia al Colle per l’8 marzo. E questa volta – nel giorno in cui Fitch declassa l’Italia a BBB+ – chiama in causa «i problemi urgenti e le questioni di fondo che riguardano l’economia» per dire che questi «non possono aspettare, devono ricevere risposte e dunque richiedono che l’Italia sia dia un governo ed esprima uno sforzo serio di coesione». E incalza: «Siamo sempre riusciti a superare i più acuti momenti di crisi e rischi di scontro sul piano istituzionale: dobbiamo riuscirci anche questa volta». Un governo in fretta e coeso, è dunque il piano che consegna Napolitano alle forze politiche. Auspicando che le scelte relative «ai vertici delle istituzioni rappresentative», cioè l’elezione dei presidenti di camera e senato, avvengano «in un clima disteso e collaborativo». Insomma, è dalla scelta dei vertici di Montecitorio e palazzo Madama che il presidente attende un segnale.
Dal Pd, è subito Enrico Letta a assicurare che il partito, sul punto delle presidenze, «ha un atteggiamento aperto verso tutte le forze presenti in parlamento» e «ci muoviamo con una logica di dialogo e collaborazione». Lo aveva detto anche Pier Luigi Bersani, che resta dell’idea di non occupare entrambi gli scranni più alti delle camere. Ma che i 5 Stelle accettino il vertice di Montecitorio dando in questo modo il segnale di via libera al governo Bersani è assai improbabile. Nel partito non si esclude di coinvolgere nella partita anche Scelta Civica, per aprire un dialogo in caso si ritorni invece alle urne. Con i voti montiani il Pd potrebbe eleggere il presidente di palazzo Madama dal quarto scrutinio. Mentre a Montecitorio il gruppo democratico ha i numeri per scegliere da solo.
Ma nonostante il voto compatto nella direzione di mercoledì, il partito è diviso anche su questa questione, proprio perché dalla composizione dei vertici di camera e sanato può discendere – anche se c’è chi vorrebbe tenere le due cose indipendenti – il profilo del nuovo governo. Ed è quindi l’eventuale «cessione» di un ramo del parlamento al Pdl – Rosy Bindi dice non se ne parla – che potrebbe accendere la discussione da lunedì pomeriggio, quando si terrà  la prima riunione dei gruppi parlamentari, al cinema Capranica. Ma il segretario punta a serrare le fila, perché il piano B non c’è: anche un «governo del presidente» andrebbe votato con il Pd e quata opzione per ora resta esclusa da Bersani.
Gli inviti alla coesione di Napolitano devono poi fare i conti con il Pdl e con il suo leader furioso per i processi che lo incalzano. «Se sono in grado di formare un governo lo faccianorapidamente – dice Angelino Alfano rivolto al Pd – altrimenti torniamo al voto». E’ quello che avrebbe in mente Berlusconi: o un governo che duri almeno tre anni con ministri esponenti dei partiti oppure al voto. Rischiando l’interdizione dai pubblici uffici, il Cavaliere vorrebbe riuscire a giocarsi l’ultima carta finché è in tempo.


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