Gli italiani non sono più «formiche» Il risparmio ormai sotto quota 10%

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Ancora una ventina di anni fa le famiglie mettevamo da parte quasi un quarto del reddito, ma dal 2009, dice la Banca d’Italia, siamo scesi sotto la media europea, a meno del 10%. E meno male che le formiche italiane avevano accumulato un bel gruzzolo, comprando sopratutto la casa per sé e, spesso, per i figli. Adesso anche la ricchezza patrimoniale è a rischio.
La componente finanziaria è in discesa da un quinquennio e quella immobiliare comincia a mostrare i primi segni di cedimento, con la drastica diminuzione delle compravendite e il calo dei prezzi.
Come se non bastasse, la crisi ha accentuato la distanza tra ricchi e poveri e tra giovani ed anziani, confermano le indagini diffuse ieri dalla banca centrale. Evidentemente è mancata la capacità  della politica, dei governi che si sono succeduti, di riequilibrare gli effetti sperequativi della crisi. E oggi i poveri sono più poveri di ieri mentre i ricchi sono più ricchi. Tutto ciò mina la coesione sociale e il potenziale di crescita dell’economia.
Ma più ancora dell’aumento del divario economico preoccupa la frattura generazionale. Il risparmio era proprio un modo per legare i vecchi e i giovani. Attraverso il risparmio dei primi si ponevano le basi per la ricchezza dei secondi. Ma ora il trasferimento dell’eredità  si allontana, fortunatamente perché si vive più a lungo e sfortunatamente perché gli anziani sono spesso costretti a impiegare per se stessi la ricchezza patrimoniale accumulata e che magari pensavano di destinare interamente ai figli. In questo senso il dato sull’aumento dei giovani in affitto e in grave difficoltà  economica non deve stupire.
È successo che la famiglia di origine, che tradizionalmente era un paracadute, al contrario può spesso trasformarsi in un problema. Basti pensare a quello che accade quando anche uno solo dei genitori diventa non autosufficiente: i risparmi si bruciano velocemente e non si sa dove sbattere la testa. Anche qui la politica e i governi non sono stati capaci di impedire questo peggioramento della situazione.
Se le cose stanno così, la politica e i governi che verranno dovrebbero semplicemente mettere al primo posto i poveri (la parola non deve scandalizzare) e i giovani, le donne senza lavoro e gli anziani non autosufficienti. Poi si può discutere su quali siano le ricette più giuste per riequilibrare i redditi e ricomporre la frattura generazionale. Se sia meglio liberare le energie del mercato ancora imbrigliate da un welfare che privilegia i maschi adulti col posto fisso (compresi tanti ex baby pensionati) oppure se sia il caso di una politica diversamente interventista, volta a correggere con decisione le storture provocate dal naturale evolversi delle dinamiche sociali ed economiche (dall’invecchiamento della popolazione alle bolle finanziarie). La discussione è aperta. Ma almeno su alcuni punti bisognerebbe essere d’accordo. È compito di chi governa assicurare ai giovani una scuola che funzioni e disegnare una legislazione del lavoro semplice, anzi semplicissima, che eviti la trappola della precarietà  (non ci è riuscita la riforma Fornero e non si può andare avanti con decine e decine di forme contrattuali di accesso al lavoro). È ancora compito di chi governa evitare che la povertà  tocchi anche chi lavora. Infine, chi diventa non autosufficiente e le famiglie colpite da questi problemi non possono essere lasciati indietro. Altrimenti non sarà  solo il risparmio ad esaurirsi, ma anche ciò che tiene insieme una società .


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