I papabili italiani da favoriti a grandi esclusi anche la segreteria di Stato forse a uno straniero
CITTà€ DEL VATICANO — Scola, la sola roccia. A distanza, Ravasi. In fondo, lontano dalle prime posizioni, Bagnasco. Per il resto, un deserto. La lista più aggiornata dei candidati al prossimo pontificato è un fiorire di nomi stranieri. E il ritorno di un Papa italiano, un sogno che gode di ben poche speranze.
Scandali, veleni, corruzione, carrierismo minano oggi le possibilità che — 35 anni dopo Albino Luciani — venga scelto un pontefice proveniente dalla Penisola. Nel giorno in cui si riuniscono le Congregazioni generali, e le discussioni sul Conclave imminente entrano nel vivo, i cardinali stranieri mettono in forte dubbio l’elezione al Sacro soglio di un porporato italiano.
È la prima volta che la pattuglia composta dalle eminenze capaci nei secoli di fornire pontefici a profusione parte svantaggiata. Eppure continua a costituirne il gruppo più folto: 28 cardinali su 115 elettori.
Dopo di loro, gli americani: 12. E poi i tedeschi: 6. Il che significa, rispettivamente, potere e soldi. Capacità di influenza a livello geopolitico e possibilità di far affluire fondi. Non esattamente due questioni marginali, per una Chiesa in calo di fedeli e in crisi di vocazioni. Senza contare, inoltre, che gli americani sono in grado di organizzare i voti di tutto il continente, da Nord a Sud (quindi dal Canada fino a Brasile e Argentina). Mentre i tedeschi possono coagulare i voti importanti dell’area germanica, dall’austriaco Schoenborn allo svizzero Koch, dall’ungherese Erdo ai porporati di Polonia e Slovenia.
Ma soprattutto, la maggior parte delle eminenze venute da lontano, che questa mattina varcano l’Aula nuova del Sinodo per guardarsi negli occhi e confrontare
le rispettive posizioni, non intendono ripetere l’esperienza di un Papa vecchio e non più capace di controllare la macchina, al punto da doversi clamorosamente dimettere. Né quella di un governo pontificio percorso regolarmente negli anni da accuse e scandali. Nel mirino sono dunque finite la Segreteria di Stato guidata da Tarcisio Bertone e la Curia romana.
A fare le spese di tutto ciò saranno in Conclave i porporati italiani. Il loro nome più spendibile resta quello dell’arcivescovo di Milano, Angelo Scola. Altri meditano invece la carta “internazionale” e di profilo alto rappresentata dal ministro della Cultura, Gianfranco Ravasi. Il compromesso verte sull’arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, o su quello di Firenze, Giuseppe Betori. Ma al di là di queste scelte, è buio fitto.
Ben più solide appaiono alcune candidature provenienti da aree diverse. Dal canadese Ouellet all’americano Dolan, dall’ungherese Erdo al filippino Tagle, dal brasiliano Scherer al congolese Pasinya. Da oggi le eminenze si scrutano a porte chiuse, nel grande emiciclo posto due piani sopra l’Aula Paolo VI, quella delle udienze generali del mercoledì, ben attenti soprattutto a non sbagliare. Determinante diventa così quella che un osservatore definisce come «la tenuta psicologica dei cardinali». I porporati temono infatti l’ascesa di un secondo Benedetto XVI, il Papa che si è dimesso ufficialmente per ragioni di salute. Vanno
con la memoria anche a Luciani, a quel Giovanni Paolo I morto sotto il peso forse insostenibile del Papato. E procedono, informalmente, a screening psicologici che escludano candidati ritenuti oggi spendibili, ma un domani forse troppo fragili. «Votano il Papa perché faccia il Papa, e non perché un giorno molli tutto», spiega l’interlocutore. E si chiedono allora se l’emotività del canadese Marc Ouel-let, candidato perfetto secondo alcuni, non possa piuttosto costituire un criterio di giudizio. Se le accuse di non essere un decisionista al brasiliano Odilo Pedro Scherer non ne pregiudichino l’ascesa. E se la giovane età del filippino Luis Antonio Tagle non aiuti invece a pensarlo per un prossimo turno, quando mai sarà .
Tranne Scola e Ravasi, italiani fuori dai giochi, dunque. Ma la disgrazia in cui sono caduti i candidati della Penisola rischia di andare ben oltre l’elezione del Papa, e giocare un brutto scherzo anche alla costruzione della nuova Segreteria di Stato. Che tanti stranieri vedono oggi priva di un leader tricolore. L’irritazione dei porporati esteri è infatti tale da concentrarsi su un’ipotesi nuova: quella di un ticket tutto straniero, Papa e Segretario di Stato. Sarebbe un inedito (tranne il periodo in cui il francese Jean Marie Villot fu il braccio destro del polacco Karol Wojtyla per pochi mesi prima di morire). Ma dopo la rinuncia di Joseph Ratzinger al pontificato ora tutto è possibile.
Non solo. Ma per sostenere, almeno all’inizio, il nuovo Papa, un’ipotesi allo studio è di costituire un Consiglio della corona. Un cerchio ristretto di fedelissimi, quelli che lo eleggeranno, pronti a non lasciarlo solo e ad aiutarlo nella riforma di una Curia ritenuta ingovernabile. Un’opera di pulizia, dalla quale gli italiani verrebbero
esclusi.
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SOLO contro tutti. È la parte che, oggi, recita Berlusconi. Un po’ per istinto e per sentimento. Un po’ per calcolo e per strategia. Per istinto e sentimento. Perché non si fida di nessuno. Neppure dei “suoi”. Anzi, soprattutto di loro. I leader alleati (fino a pochi anni fa). Fini e Casini, postfascisti e neodemocristiani. Miracolati.
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