Egitto, poliziotti in rivolta nel nome del Profeta “Fateci portare la barba”

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GERUSALEMME — Se ne stanno sul marciapiede davanti al Ministero degli Interni dietro Kasr el Nil, gli ottanta poliziotti sospesi dal servizio perché, in segno di rispetto del Profeta, si sono fatti crescere delle lunghe barbe islamiche. Con uno striscione in mano chiedono al presidente islamista Mohammed Morsi di intervenire sul loro caso. Il decreto di Mubarak che vietava le barbe islamiche a tutti i dipendenti pubblici è stato dichiarato decaduto dal nuovo potere islamista e una Corte del Cairo il 20 febbraio ha dato loro ragione decretandone il rientro in servizio.
Ma il ministro degli Interni, regolamento di polizia alla mano, per ora non vuole saperne: si torna in servizio solo senza barba. La maggior parte di questi sottufficiali si è fatto crescere la barba l’anno scorso e da allora è “fuori servizio”. Diversa la posizione assunta da altre aziende di Stato: per esempio dalla Egypt Air, dove
da un anno gli steward possono farsi crescere la barba e le hostess possono indossare, se lo desiderano, il velo islamico; così come nella tv pubblica ha debuttato da mesi l’anchorwoman velata.
Segnali sempre più evidenti della progressiva islamizzazione della società  egiziana a cui l’opposizione laica cerca di fare argine. Da giorni le piazze sono in fermento dopo l’annuncio del presidente Morsi delle prossime elezioni in aprile, l’opposizione democratica nel Fronte di salvezza nazionale contro la dilagante deriva islamista ha lanciato un appello alla disobbedienza civile e al boicottaggio. Al Cairo ieri, strettamente pattugliata per l’arrivo del segretario di Stato Usa John Kerry, la situazione della sicurezza è rimasta sotto controllo ma ci sono stati scontri a Mansura, centro industriale nel delta del Nilo, dove è stato ucciso un manifestante e decine sono stati i feriti. A Port Said è stato assaltato un commissariato di polizia a colpi bottiglie molotov e poi la folla ha impedito ai vigili del fuoco di intervenire per domare le fiamme.
Arriva in un Egitto percorso da nuove tensioni il capo della diplomazia Usa e trova anche il gelo dell’opposizione che si è rifiutata di incontrarlo. Kerry vedrà  oggi il presidente Morsi, il ministro degli Esteri, Mohamed Kamel Amr, e quello della Difesa, Abdel Fattah al-Sissi. Hanno invece rifiutato il suo invito a un incontro i tre leader dell’opposizione – il premio Nobel Mohamed El Baradei, il nasseriano Hamdeen Sabahi e l’ex segretario della Lega Araba Amr Moussa – in segno di protesta per le «intromissioni» americane negli affari egiziani. Con El Baradei e Moussa c’è stato poi ieri sera solo un breve colloquio telefonico. Nei giorni scorsi gli Stati Uniti avevano rivolto un appello all’opposizione egiziana, invitandola a rinunciare al boicottaggio delle elezioni di aprile in nome della “stabilità ”.
Il difficile assetto del dopo-Mubarak – in un Paese che è il primo alleato in Medio Oriente degli Usa – è fonte di serie preoccupazioni a Washington. In questi due anni gli Usa hanno prima guardato con simpatia alla “primavera egiziana” schierandosi a fianco dei “ragazzi di Piazza Tahrir”, poi le ragioni strategiche li hanno portati ad una apertura di credito verso la Fratellanza musulmana e il presidente Morsi, nonostante la deriva islamista antidemocratica imposta all’Egitto e la palese incapacità  di far uscire il Paese da una drammatica crisi economica. L’Egitto ha bisogno disperato di fondi e per questo Kerry è pronto a promettere l’appoggio americano al Cairo per un prestito dal Fondo monetario internazionale da quasi 5 miliardi di dollari, in cambio di riforme fiscali e di spesa che però potrebbero risultare impopolari, e che dunque richiedono un ampio consenso politico. Condizioni che né la Fratellanza né il presidente Morsi sembrano al momento in grado di poter soddisfare.


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