Deforestazione: tra alta moda e Banca Mondiale

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Gli attivisti che la scorsa settimana hanno catalizzato l’attenzione dei media più sensibili organizzando una sfilata verticale su un “green carpet” a forma di guanto steso sulla facciata del Castello Sforzesco e infilando un “green glove” attorno a “Il Dito”, la scultura di Maurizio Cattelan che si trova a Milano in Piazza Affari, hanno voluto ricordarci che “La moda vende sogni, ma è ancora un incubo per il Pianeta”. Ad oggi, infatti, il Valentino Fashion Group è l’unico brand che è riuscito a scalare la classifica The Fashion Duel realizzata da Greenpeace per valutare le maison in base alla trasparenza delle filiere produttive, le politiche ambientali in atto e la disponibilità  a un impegno serio per dire no alla deforestazione e all’inquinamento impegnandosi per l’acquisto di carta e la produzione di packaging certificato e a deforestazione zero.

L’ardita campagna dei pacifisti verdi, che ha come testimonial video Valeria Golino, è il risultato di un questionario inviato da Greenpeace a 15 case di moda italiane e francesi con 25 domande che si concentrano su tre temi ambientali: le politiche per gli acquisti della pelle, per scoprire se la pelle usata dalle case d’alta moda proviene dagli allevamenti di bestiame che deforestano l’Amazzonia; le politiche per gli acquisti della carta, per svelare se la carta dei packaging di lusso è prodotta da multinazionali come quelle che in Indonesia distruggono le foreste pluviali e l’habitat delle ultime tigri di Sumatra e la filiera della produzione tessile, per controllare se la produzione e la lavorazione dei tessuti d’alta moda utilizza sostanze tossiche che potrebbero compromettere le risorse idriche globali.

I risultati? Non proprio confortanti, con Prada, Dolce&Gabbana, Chanel ed Hermés che nonostante le ripetute richieste si sono rifiutate di fornire a Greenpeace le informazioni necessarie ad una valutazione e molte altre firme giudicate ancora troppo lontane de politiche sostenibili. “A Milano, durante questa settimana della moda – ha spiegato Chiara Campione responsabile progetto The Fashion Duel -la grandi firme hanno svelato le tendenze della prossima stagione, ma continuano a nasconderci cosa c’è dietro ai vestiti che sfilano in passerella. Vogliamo che questi marchi svelino ai propri clienti cosa fanno per evitare fenomeni come la deforestazione e l’inquinamento delle risorse idriche globali. Il nostro guanto di sfida sul dito di Cattelan è per loro che devono impegnarsi per raggiungere gli obiettivi Deforestazione Zero e Scarichi Zero nella propria produzione”.

Per gli ambientalisti, che con la campagna Detox lanciata nel 2011 sono riusciti a convincere alcuni tra i più popolari marchi d’abbigliamento a eliminare ogni rilascio di sostanze chimiche pericolose per l’uomo dall’intera catena di produzione entro il 2020, rispondere alla sfida non è un’opzione, è un obbligo. “È ora di darsi una mossa. Se sono queste le aziende veramente leader in tutto il mondo devono capire che per la prossima stagione l’unico must-have è una moda senza distruzioneha concluso la Campione ricordando che già  migliaia di cittadini hanno sfidato il mondo della moda firmando la petizione su thefashionduel.com.

Ma ad attirare l’attenzione sul futuro dei polmoni verdi del pianeta non c’è in questi giorni solo il guanto verde della sfida lanciata alle aziende della moda dal mondo ambientalista. Un rapporto effettuato dall’Independent Evaluation Group(Ieg), una divisione indipendente della Banca Mondiale, ha certificato il fallimento della politica forestale della Banca nella prevenzione della deforestazione. Per il network internazionale Salva Foreste “I revisori hanno visitato diversi dei paesi in cui la Banca opera con programmi forestali, ed hanno espresso conclusioni fortemente critiche. Oltre a criticare i risultati negativi del sostegno della Banca all’industria del legno nei tropici, l’Ieg ha evidenziato le responsabilità  della Banca in numerosi altri aspetti, come il mancato coinvolgimento delle popolazioni locali e il risultato nullo, se non negativo, nella lotta alla povertà  rurale”.

“Il rapporto di valutazione della Banca Mondiale conferma quel che è chiaro a tutti – ha spiegato Rick Jacobsen di Global Witness – e cioè che abbattere alberi su scala industriale non è certo il miglior modo di preservare le foreste tropicali, né di sostenere le popolazioni che le abitano”, piuttosto “continuano ad accumularsi nuove prove del fatto che il taglio industriale beneficia poche imprese multinazionali del legno, alimentando semplicemente lo stuolo dei funzionari corrotti”, ha aggiunto Jacobsen. Negli ultimi 10 anni, la Banca Mondiale ha sostenuto l’espansione dell’industria del legno in alcune delle foreste pluviali più importanti e minacciate della Cambogia, del Camerun, della Repubblica Democratica del Congo, dell’Indonesia, e della Liberia. In Cambogia, Congo e Liberia, gli impatti di questo sviluppo sono stati denunciati dalle comunità  locali, le cui basi della sussistenza sono state seriamente danneggiate. Due ispezioni effettuate dal difensore civico della Banca Mondiale, hanno rilevato che il personale della Banca aveva violato diverse policy finalizzate a proteggere l’ambiente e le persone vulnerabili.
 “Le evidenze scientifiche rivelano che il dogma dei benefici dello sfruttamento industriale delle foreste non è che una cattiva politica, priva di riscontri sul campo. La Banca ha fino a oggi evitato di confrontarsi con questa realtà , ma ora è tempo di agire” ha concluso Jacobsen.

Il dato non sorprende. Già  emerso in un rapporto di un anno fa dal titolo Justice for Forests, ci convince sempre più dell’importanza di dare, con un click, un contributo alla campagna di riforestazione 1fan1albero: basta diventare fan di Unimondo su facebook per aderire al progetto Tree is Lifeche per ogni fan ha piantato e continua a piantare un albero in Kenya, arrivando nel 2013 a superare i 30.000 alberi. Per fare un albero, quindi, non serve l’alta moda e neanche la banca Mondiale. Noi ci accontentiamo di un fan!

Alessandro Graziadei


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