Renzi lancia in rete la sua «agenda» «Ma non sono uno sciacallo»

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ROMA — Matteo Renzi è tornato e non per pugnalare alle spalle Pier Luigi Bersani, perché «nello zoo del Pd ci sono già  troppi tacchini sui tetti e troppi giaguari da smacchiare per permettersi gli sciacalli del giorno dopo». Per settimane è stato bene attento a non finire «nel tritacarne delle dichiarazioni», ma ora che il suo nome prende quota come possibile candidato premier il sindaco di Firenze esce allo scoperto per delineare il suo piano: restare a Palazzo Vecchio, senza perdere d’occhio Palazzo Chigi.
«Ho perso le primarie. Adesso faccio il sindaco perché la serietà  non è un optional — scolpisce su Facebook al mattino — Capisco i rimpianti, ma preferisco vivere di progetti». Ma alle due del pomeriggio Renzi manda in rete una lunga newsletter in cui, pur smentendo «intrighi, progetti, desideri», lancia i titoli dell’agenda con cui spera di scrivere una nuova pagina di storia. Quasi un contro-programma, che conferma come il sindaco punti dritto al governo del Paese.
Il problema è il quando.
Al vertice del Pd ritengono che adesso tocchi a Bersani e Matteo Orfini avverte: «Non esiste che noi proponiamo Renzi a Palazzo Chigi». Vasco Errani mostra di credere alla smentita del sindaco, invitando tutti a prendere atto della «risposta chiara e netta» che ha offerto al partito. Eppure il tema esiste, tanto che Graziano Del Rio, presidente dell’Anci, teorizza che il sindaco non potrebbe rifiutare una chiamata del Colle: «Se Napolitano lo chiama non può dire di no. Magari per fare un governo su pochi punti…».
Matteo sa che non può aspettare troppo a lungo, il tempo magari di un governo tecnico, perché il patrimonio di consenso riscosso con le primarie rischierebbe di disperdersi. E così, l’accelerazione è nelle cose. Martedì, alla vigilia della direzione nazionale, l’ex sfidante di Bersani riunirà  la sua squadra di oltre 40 parlamentari e metterà  a punto la strategia.
Le mosse di Renzi, neanche a dirlo, preoccupano la segreteria, già  fiaccata dalla vittoria sfumata. Nello staff di Bersani sono convinti che Napolitano non darà  mai l’incarico a Renzi, ma qualcuno comincia a temere che non lo darà  neppure al segretario. Sottotraccia il duello è iniziato e in direzione la spaccatura sarà  evidente. D’Alema, Veltroni, Letta e Franceschini spingeranno per un governo con chi ci sta (e quindi con Berlusconi), mentre i bersaniani come Orfini, Stumpo e Fassina insisteranno sul «no» a qualunque intesa che escluda il M5S.
Al Nazareno smentiscono scenari che prevedano le dimissioni del leader, ma la tensione è forte. Tra i fedelissimi la corsa per il riposizionamento è iniziata. Tommaso Giuntella, altro giovane coordinatore delle primarie, nega di aver attaccato il segretario: «Non è così». E la Moretti, su Twitter: «Chi insinua attacchi a Bersani da parte mia e di Giuntella o è un meschino o è un cretino!». Di ora in ora gli endorsement per il sindaco si moltiplicano. «Bersani è il presente, Matteo il futuro prossimo» dichiara Francesco Boccia. E invece Beppe Fioroni consiglia al primo cittadino di «prendersi un po’ di tempo in più».
Ma Renzi ha fretta e lancia la sua piattaforma. La premessa è che il centrosinistra ha perso le elezioni e Renzi, che non ama i giri di parole, scrive nero su bianco la parola «débacle». Che fare, adesso? Non si rincorre Grillo sul terreno delle dichiarazioni a effetto, ma «lo si sfida sulle cose di cui parla, spesso senza conoscerle». Le donne in politica, la rete, l’innovazione ambientale, la rinuncia ai vitalizi, la Rai bonificata dai partiti… E poi il lavoro e la crescita, a cominciare da un nuovo modello di sviluppo sostenibile. «Pensiamo di uscirne vivi offrendo a Grillo la Camera e a Berlusconi il Senato?», sferza Renzi alludendo alla proposta di D’Alema. No, per il sindaco la strada è un’altra: cancellare subito il finanziamento pubblico ai partiti, invece di giocare al «compro, baratto e vendo dei seggi grillini». Cosa che, ovviamente, al Pd si affrettano a smentire.


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