I mestierianti della sicurezza

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Ad oltre 25 anni dalla pubblicazione della Società  del rischio di Ulrick Beck, la sicurezza del lavoro è una delle rimozioni che caratterizzano la società  contemporanea, e il suo narrarsi come società  dei consumi. Si tratta di una tematica latente, pronta a riemergere in tutta la sua drammaticità  solo nel momento in cui un incidente oppure un’inchiesta della magistratura – come nel caso dell’Ilva – mettono in luce come il postfordismo e la diffusione del lavoro cognitivo non cancellino le dimensioni del rischio e della fatica del lavoro ma le accentuino. Semmai l’esito dell’egemonia del capitale, favorita da uno Stato sempre più impotente o volutamente «distratto», è la disgiunzione tra sicurezza e lavoro, tra diritto alla salute e crescita economica. Se negli ultimi anni – anche in seguito al rallentamento dell’economia e alla contrazione dell’occupazione in settori ad alto rischio, come l’edilizia – il numero delle vittime sul lavoro in Italia è diminuito, il problema strutturale della sicurezza e della qualità  del lavoro tuttavia rimane. Il primo elemento che va sottolineato è che, nel contesto di un’organizzazione della produzione sempre più frammentata, le vecchie solidarietà  organizzate nelle forme associative del sindacato lasciano il campo a strategie di sopravvivenza adattive e fortemente individualizzate.
Percorsi accidentati
Di questa rimozione sono purtroppo partecipi le stesse scienze sociali che dedicano a questi temi poche indagini sul campo. Tra le pubblicazioni che cercano di riempire questo vuoto – in particolare riflettendo sul fondamentale nodo della dignità  del lavoro in rapporto all’espansione quantitativa dell’occupazione, cioè su un modello di sviluppo oltre il neoliberismo – si collocano alcuni recenti lavori di Giorgio Gosetti, Duncan Gallie e Michele La Rosa.
Giorgio Gosetti, docente nell’Università  di Verona, ha dedicato a questi temi un volume intitolato Lavoro frammentato, rischio diffuso (Franco Angeli, euro 33). Partendo da un’analisi delle trasformazioni che hanno investito il lavoro, rendendolo frammentato, flessibile e socialmente scomposto, Gosetti focalizza la sua attenzione sull’aumento e lo sviluppo dei fattori di rischio che minacciano la salute dei lavoratori secondo percorsi inediti. In primo luogo, alla standardizzazione della sicurezza e alla sua centratura nel luogo di lavoro, tipiche del fordismo-taylorismo, fa seguito la diseguale distribuzione dei rischi all’interno dei luoghi lavorativi. I quali non costituiscono più un riferimento stabile nella vita dei lavoratori ma solo una tappa in quel flusso in continuo divenire che caratterizza percorsi lavorativi instabili e posizioni occupazionali altamente differenziate che pur interagiscono all’interno di un medesimo processo produttivo. Inoltre, gli elementi di riconfigurazione organizzativa, automazione e job design hanno comportato un notevole aumento dei fattori di stress e, dunque, di rischiosità  associata al lavoro, pur in presenza di una retorica crescente sull’importanza dell’ergonomia e della sicurezza. In questo contesto, i temi della salute e della sicurezza del lavoro vanno messi in relazione con il più generale problema della qualità  della vita lavorativa. Un fattore che, prendendo atto della svolta «biocapitalistica» assunta dal sistema economico globale, si regge su due pilastri: quello della tradizionale qualità  del lavoro (cioè della relazione tra lavoratore e contesto organizzativo) e quello del rapporto tra occupazione e vita (spesso regolato dal welfare state). Partendo da questo quadro teorico e utilizzando in sede metodologica l’approccio di Pierre Bourdieu, il libro di Gosetti presenta i risultati di un vasto studio qualitativo effettuato sugli operatori dell’«Area Prevenzione e Sicurezza dei Luoghi di Lavoro» della Asl di Bologna.
Nonostante la limitatezza del campo di osservazione, i risultati che emergono sembrano convergere con quelli di altre ricerche effettuate sui medesimi temi. Da una parte l’evoluzione normativa e istituzionale degli ultimi anni sembra tendere verso la costruzione di un sistema complesso che mette al centro la prevenzione e la cultura della sicurezza trascurando però la dimensione della qualità  della vita lavorativa. Dall’altra, questo sistema, per funzionare davvero ha bisogno della costruzione di una rete di supporto diffusa capillarmente nella frammentazione dei processi produttivi che sia in grado di mettere al centro la tutela della salute e della sicurezza del lavoratore.
Un soggetto tendenzialmente mobile, dunque, e non più riducibile alle categorie giuridiche e culturali che hanno guidato sinora, sul modello del lavoro dipendente a tempo indeterminato, la costruzione della sicurezza nei luoghi di lavoro. La prospettiva è quella della costruzione di un «welfare delle relazioni» accanto a quello centrato sui diritti sociali «tradizionali».
Dopo l’ubriacatura neoliberista
Il secondo lavoro che affronta la questione della qualità  della vita lavorativa, della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori è il numero monografico della rivista «Sociologia del lavoro» (n. 127, euro 22,50) curato da Duncan Gallie, Giorgio Gossetti e Michele La Rosa. Il volume si divide in due parti: la prima presenta saggi a carattere teorico mentre la seconda ospita contributi di studiosi (italiani e stranieri) che presentano i risultati di ricerche effettuate per lo più nei paesi europei. L’idea fondamentale che ha animato i curatori, e che unisce come un filo rosso tutti i saggi presenti nel libro, riguarda la messa a tema della qualità  della vita lavorativa come di un costrutto in grado di offrire, dopo la lunga e drammatica ubriacatura neolibersita, un punto di appoggio per riedificare un modello di sviluppo socialmente sostenibile. Il messaggio è chiaro: mettere al centro il lavoro come pura dimensione quantitativa non basta più. Occorre non solo creare occupazione ma favorire l’affermazione di un lavoro di qualità  che ha due elementi di base: la soddisfazione e l’autoaffermazione personale; soddisfacienti condizioni materiali ed ergonomiche in cui manifestarsi.
Dall’intreccio di queste dimensioni è possibile ricostruire un lavoro inteso come complesso di relazioni (centrate sulla dignità ) non solo rispetto all’ambiente dove si è occupati ma anche in riferimento alla sfera della propria vita personale e sociale. Un ampliamento della democrazia economica che sarà , indubbiamente, il terreno di scontro e di confronto nei rapporti tra capitale e lavoro nei prossimi anni e rispetto ai quali questi volumi offrono importanti spunti di riflessione e approfondimento.


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