«Alla Camera apriamo a M5S su ambiente e reddito»

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ROMA. Nicola Fratoianni, assessore alle politiche giovanili nella Puglia di Vendola e membro della segreteria del Sel, arriva in sala stampa in un clima surreale. Il «giovane turco» Matteo Orfini ha appena annunciato che, visto il risultato al Senato, il Pd potrebbe chiedere un governo di larghe intese che riformi la legge elettorale e tornare a votare al più presto. Fratoianni supera la prima mina che il Pd, che ha appena preso un pugno in faccia, getta tra le gambe dell’alleato che doveva «coprire a sinistra» la coalizione. «Aspettiamo i dati definitivi – dice – certo sorprende in negativo il dato del Pd che era dato al 33% e che invece è molto più basso. Ora non è il caso di addossare responsabilità  a nessuno, ma forse una campagna diversa avrebbe aiutato di più la coalizione». Forse non esibire, come una fatalità , l’alleanza con Monti? Fratoianni si lascia scappare un gesto di insofferenza, sibila «eppure glielo avevamo detto», mentre fuma nervosamente una sigaretta, poi riprende il filo di una polemica che potrebbe crescere se i dati venissero confermati. «Il problema non mi sembra quello della legge elettorale – afferma – una volta in parlamento vorrei provare a discutere della questione sociale e della sofferenza che ha prodotto questo risultato». Cioè quello del doppio populismo: Berlusconi e Grillo che ha prosciugato i pozzi del Pd. La principale responsabilità  di questa sconfitta Sel l’addebita alle politiche dell’austerità  che hanno «aggravato la sofferenza sociale del Paese, facendo il gioco di chi si è appellato alla rabbia del Paese premiando il populismo».
In mezzo c’è però un salto logico: il Pd ha appoggiato il governo di Monti che quelle politiche del rigore ha imposto. Potrebbe essere questa la ragione che ha spinto il Pd a «rinunciare ad una campagna elettorale all’offensiva»? Fratoianni alla fine lo ammette «Fino al 31 dicembre Bersani aveva il boccino in mano. Peccato che poi abbia perso mordente. Per non dire che le iniziative sono state poche, avrebbero potuto dare una mano a costruire consenso». Prevale il pragmatismo.
Al Tg2 Franco Giordano ha appena lanciato l’amo: «Credo che un’interlocuzione con Grillo su molti temi, dall’ambiente al reddito minimo garantito, sarà  possibile». Ce lo conferma di persona Fratoianni: «Grillo si è negato ad ogni confronto fino ad oggi e ha detto che ci vediamo in parlamento – continua – Adesso ci siamo, ci confronteremo sulle idee». Un’apertura, forse, oppure un monito per bruciare chi tra il Pd proporrà  un’apertura a Monti, qualora avesse i numeri per garantire al partito di Bersani una qualche maggioranza in Senato. Del resto, è quello che hanno suggerito, in qualche intervista televisiva galeotta ieri sera prima che parlasse il Capo, alcuni candidati 5 stelle. Al di là  delle grandi manovre che dipenderanno da Grillo, da Berlusconi o da Monti, ma non dal centrosinistra, Sel torna in parlamento dopo cinque anni di assenza.
Con 39.589 sezioni scrutinate su 61.446 alla Camera, nel momento in cui scriviamo, ha ottenuto il 3,1% alla Camera, un risultato che eguaglia la «Sinistra arcobaleno» del 2008. Il «Porcellum» permette di incassare all’incirca 42 deputati. Visto che il Senato è ingovernabile (e Sel prende il 2,9%), si accarezzano i numeri che di minuto in minuto vengono snocciolati dalle proiezioni alla Camera. Il «Porcellum» che il Pd, precipitato al 26 e briciole (con Grillo che lo tallona), non ha voluto riformare sicuro di una vittoria plastica, potrebbe assicurare almeno il diritto di formulare una proposta di governo a Napolitano. Non l’unica, forse.
Per il gruppo dirigente il bilancio è comunque positivo. Chi «va male», fanno notare, sono i Democratici, «e certo la coalizione non la possiamo reggere noi». Per Fratoianni «siamo davanti ad un’onda colossale che tende a generalizzarsi». In Puglia il 5 stelle è il secondo partito, Sel perde il 3% dei voti, al Senato strappa il 6,8%, come al Senato.
Rispetto alle regionali del 2010, quando la lista «Puglia per Vendola» ebbe il 5,5%, oggi Sel sembra tenere. Se, invece, sommiamo i voti nazionali di Sel con gli «ingroiani» (compreso Di Pietro), la «sinistra» in Italia conquista poco più del 5%. Nel paese di Grillo, la «sinistra» non ha nemmeno più un ruolo di testimonianza.


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