Il declino di Juan Carlos e l’ombra dell’abdicazione

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MADRID — Una volta si versavano i tributi al re. Ora si organizzano safari omaggio e si gonfiano le fatture dei convegni organizzati dai generi. Sarà  uno scandalo di fondi neri ed evasione fiscale a rovinare la favola di Juan Carlos? L’uomo che ha inaspettatamente riportato la monarchia in Spagna dopo 40 anni sarà  anche quello che l’affosserà  con il suo attaccamento al trono?
Il re di Spagna non vuole abdicare. Questo è certo. Non importa se da mesi cammina solo con le stampelle, se il suo fisico d’atleta è ormai diventato un’enciclopedia d’interventi chirurgici. Non importa che il figlio Felipe abbia già  45 anni o se Ià±aki Urdangarin, marito di una delle figlie, sia pronto ad essere condannato per aver messo a reddito la simpatia di sindaci e imprenditori verso la Casa Reale. Juan Carlos I di Borbone ha aspettato troppo la corona per dimettersi a «soli» 75 anni. La regina Sofia, moglie tradita, ma sempre gran consigliera di Juan Carlos, sostiene che «la cosa migliore per la corona è che il monarca muoia nel suo letto e qualcuno gridi: È morto il re, viva il re».
In Spagna esistono monarchici, repubblicani e juancarlisti, i suoi ammiratori. Erano la maggioranza sino a due anni fa, ora sono quelli più a disagio. Juan Carlos si è guadagnato il trono ingoiando un rospo dopo l’altro nei suoi anni da erede designato del dittatore Francisco Franco. È arrivato persino a umiliare il padre pur di non inimicarsi il Caudillo. Morto il dittatore, il ragazzotto bravo negli sport, ma un po’ lento sui libri, si oppose in tv al golpe del colonnello Tejero. Sbocciò in una notte come eroe della democrazia. Per anni la sua popolarità  è stata indiscussa. Ora la gente cambia discorso. «Mi sono sbagliato, non succederà  più»: l’atto di contrizione di un anno fa per il safari in Botswana e (forse anche) le troppe amanti non basta più. Che se ne vada, pensano in tanti.
Gli esempi, in famiglia, non mancherebbero. Negli ultimi due secoli su sei re Borbone solo due non hanno abdicato. Alfonso XIII, ad esempio, il nonno dell’attuale sovrano, firmò la rinuncia ai diritti dinastici nel 1931 con un piede sulla nave che lo portava in esilio a Roma. Il padre, don Juan, abdicò nel 1977 a Madrid, a favore di un figlio che era già  re da due anni per volere di Franco. Nei filmati dell’epoca si sente il pretendente al trono mettersi sull’attenti davanti al figlio e sbattere i tacchi senza guardarlo. Umiliato. «Todo por Espaà±a». Don Juan non ebbe neppure la soddisfazione di una cerimonia solenne. L’abdicazione avvenne in una saletta da matrimoni civili. Contava più il volere di Franco del lignaggio dei Borbone.
Il Juanito (Giovannino) a cui lasciava i suoi diritti di Borbone era lo stesso secondo genito che anni prima, giocando, aveva sparato e ucciso il fratello maggiore, legittimo erede al trono. I biografi si sono sbizzarriti nello sviscerare le conseguenze psicologiche dell’incidente. Il fratello maggiore era il preferito del padre e questi non seppe mai perdonare Juan Carlos. A sua volta il figlio superstite sentiva il peso della colpa e preferì accettare l’autorità  di Franco piuttosto che quella paterna. Secondo l’esperta di faccende reali, Pilar Urbano, «amare il padre e obbedire al dittatore» era il motto di Juan Carlos. «Il padre sentì quella decisione come un “tradimento” da parte del figlio» dice Abel Hernandez, un altro dei biografi reali.
Ora potrebbe essere un altro figlio, il potenziale Felipe VI, a sentire l’ostinazione del padre come un tradimento. Felipe è il «meno Borbone» della famiglia, il meno gaudente, meno sregolato, meno estroverso. Con accanto la volitiva borghese Letizia potrebbe rappresentare una coppia interessante per la stampa rosa. In mancanza di colpi di Stato, gli ex juancarlisti potrebbero decidere di diventare felipisti. Non l’hanno ancora fatto. E probabilmente è questo che Juan Carlos sta aspettando.
Andrea Nicastro


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