Il blocco sociale da costruire

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L’appello al voto si è fondato su richiami viscerali – l’antipolitica a Cinque stelle o il rimborso dell’Imu di Berlusconi – lontani dal principio di realtà . Il Partito democratico – inspiegabilmente – non ha contrapposto una proposta forte, capace di dare concretezza allo slogan dell’ “Italia giusta”. All’indomani del voto, inevitabilmente, la realtà  della crisi dissiperà  la retorica. Nel 2013, l’intera Europa sarà  probabilmente in recessione, sicuramente lo sarà  l’Italia. Possiamo scommettere su ammonimenti da Bruxelles, Borse agitate, spread in rialzo, agenzie di rating severe. L’Italia potrà  trovarsi a navigare sulla rotta passata, fatta di austerità  economica e instabilità  politica. Il risultato sarebbe un avvitarsi della crisi; per uscirne è inevitabile cambiare rotta . È necessario un cambiamento nei contenuti della politica: mettere l’azione pubblica prima del mercato, il lavoro e la sostenibilità  prima dei profitti, l’uguaglianza al posto del privilegio. Ma anche nelle forme di una politica nuova, fatta di partecipazione e democrazia. Il cambiamento deve aggregare un nuovo blocco sociale: il lavoro prima di tutto, la solidarietà  al posto delle illusioni dell’individualismo, restituire reddito, diritti e prospettive a chi li ha perduti, liberare i giovani dalla precarietà . Impariamo da Barack Obama.

La sua politica – con molti limiti, ma con successi innegabili – ha messo al primo posto la costruzione di un nuovo blocco sociale democratico: ha recuperato il voto dei lavoratori, conquistato quello delle minoranze latine e nere, mobilitato i giovani come mai prima, recuperato l’astensione. Lo ha fatto dando una copertura sanitaria a milioni di americani esclusi, mettendo al centro le inaccettabili disuguaglianze del paese, aumentando le tasse ai ricchi e il salario minimo ai poveri.

Ha perfino sfidato la finanza con la multa di 5 miliardi di dollari all’agenzia di rating Standard & Poor’s. È questo il minimo che una politica di centrosinistra possa fare da domani in poi. Qualche esempio? Per uscire dalla recessione serve un rilancio della domanda, nuove regole sul debito, allentare i vincoli europei, come ricordavano ieri su Repubblic a Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini. Rinviare l’azzeramento del deficit pubblico alleggerirebbe l’austerità . Tassare la ricchezza finanziaria per 10 miliardi l’anno permetterebbe di ridurre le tasse di 600 euro a 17 milioni di lavoratori dipendenti che guadagnano meno di 29 mila euro l’anno.

Usare i fondi della Cassa Depositi e Prestiti per finanziare 15 miliardi di euro di “piccole opere” fuori dai bilanci pubblici creerebbe nuova domanda e centinaia di migliaia di posti di lavoro. A parità  di entrate fiscali, le aliquote potrebbero salire al 50% per i redditi oltre i 70 mila euro e al 60% per quelli oltre 150 mila euro, permettendo sgravi fiscali ai redditi bassi. Il ritorno dell’imposta di successione per lasciti superiori a 300 mila euro, con aliquote progressive, ridarebbe qualche senso al principio di uguaglianza delle opportunità .

Tutte queste cose farebbero uscire l’economia italiana dalla recessione, ridurrebbero le ingiustizie sociali – è l’Ocse a dire che siamo uno dei paesi più disuguali d’Europa – rimetterebbero insieme una società  in frantumi, offrirebbero un nuovo spazio alla politica. Perfino i partiti potrebbero trovare un nuovo ruolo, restituendo «una dimensione democratica alla politica economica», come auspica Fabrizio Barca nella sua replica al dibattito sulla “rotta d’Italia” di sbilanciamoci.info . Come si pronuncerebbero i molti parlamentari a Cinque stelle su misure di questo tipo? La politica potrebbe cambiare volto, ma deve ritrovare il suo legame con la società .


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