La rockstar del populismo

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Piena di telecamere e di giornalisti che vengono qui a farsi trattare male. L’ordine del capo è di far passare soltanto la stampa estera. Scelta interessante da parte di un giramondo che in tanti anni non ha mai imparato uno straccio di lingua straniera.
A MENO che non abbia preso anche lui un master a Chicago a nostra insaputa, Grillo apprezza soltanto la stampa che non è in grado di leggere. Un vantaggio nel suo caso, perché i giornali stranieri, da Le Monde a Figaro, da Guardian alla Faz, ne hanno scritto come di un guitto populista, l’ennesimo fenomeno da baraccone della politica all’italiana. Al confronto la stampa nazionale è stata molto più prudente e gentile, soprattutto da quando i sondaggi sono in crescita. Ma che importa? Lo spettacolo non è il palco, il guru che abbraccia e benedice i discepoli e poi sale a fare l’ultimo tonitruante show del genere solo contro tutti. Lo spettacolo è la piazza.
Le piazze sono di solito migliori o peggiori dei partiti, movimenti o sindacati che le convocano. In questo caso, ha invece l’aria di essere perfettamente uguale. Uno specchio fedele, una fotografia mossa dell’Italia che voterà  5 Stelle. Molto maschile, abbastanza giovane, ma non troppo. Tutti questi ragazzi non si sono visti. Una larga prevalenza di trenta e quarantenni, con molti anziani, i più entusiasti. Slogan di destra e di estrema sinistra. Se c’è una novità  nel popolo di Grillo, addirittura l’annuncio di una rivoluzione politica italiana e forse mondiale, io non l’ho trovata. Sembra a prima vista la solita Italia in buona fede, che ama le semplificazioni, le teorie del complotto e i venditori di sogni, ingovernabile e contenta di esserlo, tenuta insieme dal risentimento. Se chiedi a cinquanta persone perché voteranno Grillo, quarantotto rispondono perché gli altri fanno schifo, rubano e sono tutti uguali, destra e sinistra. Uno parla di inceneritori e un altro di precariato giovanile e salario garantito. E’ chiaro che il programma non se l’è letto nessuno. Com’è del resto per tutti gli altri partiti.
Grillo si fa attendere come una rock star e quando è il suo turno non delude. Un animale da spettacolo come pochi. La campagna elettorale è stata la tournèe capolavoro di una vita. Ha usato la piazza e Internet, ma soprattutto la televisione, dov’è nato. Meglio di chiunque altro nella storia, da far impallidire d’invidia Silvio Berlusconi che
per quanto padrone qualche volta ha dovuto rispondere, accettare regole e domande. Grillo mai. Compare soltanto in comizio, senza contraddittorio, come e quando vuole. Tanto fa audience. Non deve mai rispondere di quello che ha detto, ma neppure affannarsi a smentire, come il povero Berlusca: è colpa dei giornalisti. Però a vederlo in mezzo a quest’avventura, unico punto di riferimento di una folla così indistinta, individualista, Grillo fa un po’ tenerezza. Che ne sarà  di lui dopo questo travolgente successo? Fra sei mesi, un anno? E’ già  incredibile, «pazzesco» direbbe lui, che sia arrivato qui. Ho visto Grillo la prima volta a metà  anni Ottanta,
sul set di un film di Dino Risi. Cercava di imitare Coluche, un vero genio comico che aveva progettato di candidarsi alle presidenziali francesi dell’81, mandando in tilt i sondaggi. La carnevalata era durata pochi mesi, con in mezzo la tragedia dell’assassinio del collaboratore Renè Gorlin. E’ curioso come le forme influenzali della democrazia francese sbarchino a distanza di anni in Italia, diventando epidemie ventennali. Dopo il comico in politica, i francesi hanno avuto il partito azienda di Bernard Tapie, ultra miliardario, proprietario di tv e squadre di calcio, ma anche quell’esperimento era durato in tutto un anno e il capo era finito in galera. Considerato che l’ultimo fenomeno transalpino è la figlia di Le Pen e il suo movimento xenofobo, c’è da toccare ferro. Grillo poi l’ho seguito in tutte le sue mille vite, da protagonista della dolce vita anni Ottanta, con Ferrari fiammante, a profeta anti tecnologico e sfascia computer nei Novanta, quindi guru della Rete e ora capo del secondo o terzo partito d’Italia.
Ma lo spettacolo continua a non essere lui. Lo spettacolo è la folla di San Giovanni e il paese alle spalle, che ascolta in religioso silenzio, interrotto da scoppi di idolatria, lo sgangherato comizio di un bravo comico con diploma da ragioniere che discetta di fine del lavoro e modelli energetici futuribili, come fosse la sintesi di Marx ed Einstein, mescolando accenni sull’universo e i destini del capitalismo con considerazioni sulle spese di rappresentanza del Quirinale e l’infame Equitalia. Bisogna soltanto sperare che la stampa estera, così ben accolta, sia clemente col nostro povero Paese e la sua inesausta, per quanto a oggi non fortunatissima, vocazione a fare il laboratorio politico della minchiata.
Si tratta anche di sperare nel buon senso e nell’onestà  dei cento grillini destinati a entrare in Parlamento, alla fine di tutta ‘sta rivoluzione. Finora è andata abbastanza bene. A Parma la giunta 5 Stelle non ha realizzato una singola promessa elettorale, dal no all’inceneritore al taglio dell’Imu agli aiuti alle famiglie povere, ma almeno non ha fatto i danni dei precedessori. Alla Regione Sicilia, dov’è primo partito, il movimento sostiene la giunta Crocetta, una volta compreso che non è proprio uguale a Cuffaro e Lombardo. Se i cento grillini servissero poi da pungolo per far approvare quei due o tre provvedimenti di decenza e riforma della politica, dal dimezzamento dei parlamentari al taglio dei vitalizi, allora che siano i benvenuti.


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