SE L’INGIUSTIZIA SI MANGIA LA LIBERTà€

Loading

«L’a democrazia non ci promette di realizzare un ordine superiore di vita o una società  perfetta. Non ci promette neppure di dare vita a una società  di eguali. La sua funzione consiste nel tenere insieme libertà  e pace sociale, di far sì che, diventando cittadini, persone che sono diverse nelle opinioni e nelle situazioni sociali, nelle credenze e nelle aspirazioni, vivano insieme rispettandosi, all’interno di un sistema di diritti e di doveri ugualmente distribuiti». Se la prima metà  del Ventesimo secolo ci ha insegnato quanto possa essere devastante un’idea di uguaglianza senza libertà  individuale, oggi, nelle nostre democrazie consolidate, a essere a repentaglio sono l’uguaglianza e l’universalismo.
La cultura, prima ancora che le politiche, neo-liberista che dagli anni Ottanta del Novecento ha incrinato il consenso insieme keynesiano e socialdemocratico che aveva guidato le democrazie capitaliste occidentali, ha infatti presentato la regolazione dei mercati e i sistemi di welfare sviluppati nel do-
poguerra come inciampi indebiti alla libertà  economica e all’accumulo di ricchezza. Nonostante i molti segnali di fallimento sul loro stesso terreno delle politiche neo-liberiste degli ultimi decenni (allontanamento del sogno della piena occupazione e del benessere per tutti), la delegittimazione delle politiche universalistiche e degli interventi di contrasto alle disuguaglianti escludenti e squalificanti è continuato, trovando nuova linfa nei processi di globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia. Questi hanno eroso le basi sociali dell’economia e il senso di responsabilità  per il bene comune di chi ha di più. A differenza, o molto più, dell’industria e
delle cosiddetta economia reale, la finanza non ha né patria né territorio; e chi la manovra non ha particolari interessi nello stato di uno o l’altro paese e di chi ci vive, salvo che quando lo sente come un ostacolo da rimuovere, come successe in Cile con Pinochet contro Allende.
Di più, la straordinaria escalation della globalizzazione economica e finanziaria rende gli stati meno democratici, perché riduce la loro sovranità  di decisione proprio nelle scelte politiche più ampiamente e socialmente democratiche, ovvero in quelle che riguardano appunto la regolazione dei mercati e la redistribuzione via welfare state. Alla globalizzazione e de-territorializzazione dell’economia fa da contraltatare quasi speculare un rafforzamento della richiesta di politiche identitarie, che circoscrivano “gli uguali” — quelli che “hanno diritto ad avere diritti” — rispetto ai
“diversi”, le cui domande di appartenenza comune vanno respinte — che si tratti dello slogan “prima il nord”, o del rifiuto a riconoscere pari dignità  alle persone omosessuali. Se il primo fenomeno provoca una sorta di secessione dell’economia non solo dagli Stati, ma anche dagli organismi internazionali, il secondo provoca una sorta di secessione interna, con il prevalere delle identità  nazionali, etniche, religiose, (etero) sessuali, e così via sulla comune appartenenza statuale. Sotto questa doppia spinta secessionistica, la democrazia sta conoscendo una mutazione tanto silenziosa quanto insidiosa dei meccanismi che la fanno vivere e riprodurre.
È questo il filo conduttore della densa e articolata riflessione che Nadia Urbinati svolge nel suo ultimo libro in uscita da Laterza (
Mutazione antiegualitaria),
scritto in forma di intervista con il giornalista Arturo Zampaglione. Una riflessione che spazia da una sorta di ricostruzione della sua autobiografia intellettuale ad analisi puntuali di fenomeni sociali e politici quali la Lega o Occupy Wall Street e che incrocia la tradizione intellettuale e pratica della democrazia statunitense con quella europea continentale, con il ruolo diverso che in esse gioca l’atteggiamento verso lo stato. Ma il tema centrale, cui Urbinati continua a tornare, è che la crescita delle disuguaglianze e la de-solidarizzazione dei ricchi in una economia globalizzata rischiano di far cadere il fragile equilibrio tra libertà , solidarietà  e uguaglianza dei diversi su cui si è retta, almeno idealmente se non sempre nei fatti, la democrazia occidentale. Una mutazione che, per non diventare fatale, richiederebbe la capacità  di sviluppare nuove narrazioni, che rimettano in moto la disponibilità  a operare per un bene comune consensualmente definito.


Related Articles

Violenza zero

Loading

“CREDETEMI, MAI IL MONDO È STATO COSàŒ PACIFICO”. Il neuroscenziato di Harvard Steven Pinker: “Rispetto al passato l’uso della forza e i crimini sono diminuiti drasticamente, ma la percezione comune non tiene conto dei dati statistici” 

L’umanità  catturata nel vortice della ripetizione

Loading

RISCOPERTE «L’imitazione» di Gabriel Tarde
L’estetizzazione della vita quotidiana si è imposta all’attenzione degli intellettuali come portato antropologico della nuova fase postmoderna. Quest’ultima, rea di aver trasformato in cultura gli aspetti più materiali delle relazioni sociali, otterrebbe, fra le sue immediate conseguenze, uno sfilacciamento della dimensione collettiva a favore di un nuovo narcisismo di massa, in cui l’esistenza, sentita come imprescindibile prerogativa dell’individuo, è vissuta quale opportunità  di scavalcamento egoistico dell’alterità .

Dai farmaci ai pezzi di ricambio, ecco il business dei superfalsi

Loading

Un libro – inchiesta: è il 7% del Pil mondiale Merci in viaggio: si parte dalle fabbriche cinesi, si arriva

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment