Bersani, sorpresa Moretti Appello ai «delusi» del Pdl

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ROMA — «Se me lo ha chiesto Bersani? Assolutamente no! Io non l’ho mai conosciuto e lui non mi ha mai cercato». Nanni Moretti arriva a sorpresa, lo staff del segretario gli offre l’ascensore per saltare la ressa che sbarra lo scalone di accesso all’Ambra Jovinelli, ma lui si mette in fila con i militanti. Un regalo inatteso per il leader democratico, che nel giorno di Grillo a San Giovanni ha scelto di chiudere lontano dalle piazze, in un piccolo teatro strapieno a due passi dal palco del comico.
Parla Nicola Zingaretti, poi Enrico Gasbarra chiama sul palco Moretti. E il regista di Palombella Rossa e Habemus Papam, il leader dei «girotondi» che a piazza Navona nel 2002 gridò «con questi leader non vinceremo mai», accetta di tirare la volata a Bersani. Perché «c’è un tempo per criticare i propri amici» e ce n’è un altro, per criticare i propri avversari. Quando arriva Pier Luigi, Nanni gli tende la mano, ma il segretario lo abbraccia forte. «Dì qualcosa di sinistra!», urla una voce dal fondo. Risata generale e Moretti, che pure non lo aveva previsto, si concede: «Sono qui perché, nonostante lo spot sul giaguaro, voterò Pd». Ridono tutti, e lui: «Il centrosinistra ha fatto una bellissima figura con le primarie, il centrodestra invece le ha annullate. Che figuraccia». Su Grillo non vuole affondare, ma spiega di non essere «per niente d’accordo sul fatto che destra e sinistra siano uguali».
Il bersaglio di Moretti è ancora il «caimano», è il Berlusconi «entrato e tornato in politica per difendere i suoi interessi personali», è l’uomo politico delle «aggressioni ai magistrati» e «del processo Ruby per induzione alla prostituzione»… L’applauso più caldo scatta sulla speranza che, con Bersani, l’Italia torni a essere un Paese normale: «Lunedì festeggeremo la liberazione dopo 19 anni brutti e umilianti, in cui una sola persona ha tenuto in ostaggio 60 milioni di italiani. E la responsabilità  è anche del centrosinistra, perché quando poteva non ha fatto una legge sul conflitto di interessi». Tocca a Bersani e il leader — che non pensa a una patrimoniale sui beni mobili — promette una legge sui partiti. Parla del berlusconismo come di un «virus» che ha infettato il Paese e si scaglia contro l’uomo solo al comando: «Se va via Monti chi c’è? Boh! Se va via Berlusconi? Boh? E Grillo? E Ingroia? Se va via Bersani, invece, c’è il Pd». Il discorso è quello collaudato e però il leader, «piuttosto stanco» per lo «stress micidiale» di una campagna partita in discesa e finita in salita, ci mette un supplemento di grinta e più convinzione, quando si appella ai delusi del Pdl: «C’è un elettorato che ha creduto in Berlusconi e ora comincia ad avere il problema. Ma io penso al ceto popolare, perché a noi i miliardari non interessano». E ancora, contro Grillo: «Sulle macerie campano solo i miliardari, perché gli altri ci rimangono sotto. Sulla democrazia non si scherza, perché ci è morta della gente». Il leader di M5S gli ha dato del parassita e Bersani si arrabbia: «È inutile che mi insulti, perché non mi impressiona. Io sono figlio di un meccanico e con me sbatte sul duro».
Sfoggia la spilletta «Io smacchio il giaguaro», ma per una volta il segretario non nomina il felino simbolo dell’antiberlusconismo. E avverte che, per chiudere con vent’anni che «hanno lasciato un segno profondo», ci vorrà  tempo: «Non si smacchia in un colpo solo». Respinge offeso l’accusa di aver sottovalutato Grillo e anzi rivendica di aver capito per primo cosa c’è sotto la pelle del Paese. E di aver scelto, per responsabilità  e testardaggine, di non sparare balle: «In tanti mi hanno tirato per la giacca perché ne sparassi qualcuna anch’io… Ma uno deve decidere qual è il suo marchio. E non alludo al Professore». Parole chiave, moralità  e lavoro. Metafore declinate in piacentino e battute da cabaret. Ma Bersani ha la consapevolezza drammatica che «siamo nella crisi più grave vissuta da questo Paese». Moretti applaude il «discorso combattivo», poi lascia il teatro inseguito dai giornalisti. Il Cavaliere? «È un bugiardo, perché non è stato sempre assolto». La sinistra? «Si è fatta convincere che qualsiasi cosa dicesse su Berlusconi era un autogol». La salita in politica di Monti? «Non me l’aspettavo». Moretti è «fiducioso», sente che si volta pagina. E se Bersani dovesse chiamarlo alla Cultura, declinerà  l’offerta: «Io ministro? No grazie, mi piace il mio lavoro». E adesso che fa Nanni, va a San Giovanni? «Ma che, siete matti?».


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