Transizione impossibile all’ombra di Ennahdha

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Quel giorno ha segnato la fine della prima fase della transizione, iniziata con le elezioni del 23 ottobre 2011. La troika al governo – Ennahdha più i due partiti laici Congresso della repubblica e Ettakatol, da mesi aveva annunciato un rimpasto per rafforzare la compagine governativa. Il rimpasto non si è mai realizzato: il governo, fallimentare su tutti i fronti (soprattutto economico), avrebbe voluto condividere le responsabilità  con altri partiti senza cedere loro potere.
Il 6 febbraio il primo ministro e segretario di Ennahdha, sull’onda delle manifestazioni che chiedevano le sue dimissioni, annunciava la creazione di un governo tecnico. Immediatamente veniva smentito dal suo stesso partito, diretto dal fondatore Rachid Ghannouchi. Fallito il tentativo del governo tecnico Hamadi Jebali (nella foto reuters), il 19 febbraio, si è dimesso.
Poteva essere il governo tecnico una soluzione? Forse, se veramente lo fosse stato, ma certamente non poteva essere guidato dal segretario del partito religioso. Soprattutto il tentativo è fallito perché Ennahdha non era disposta a cedere tre ministeri chiave: interno, giustizia ed esteri. Rachid Ghannouchi l’aveva urlato la settimana scorsa a una manifestazione: «Ennahdha non lascerà  mai il potere». Perché i tre ministeri sono così importanti per Ennanhda? Quello degli esteri, occupato dal genero di Ghannouchi Rafik Abdeselem finito recentemente al centro di uno scandalo, perché mantiene i rapporti con gli sponsor dei fratelli musulmani nel Golfo, in particolare con il Qatar. Il ministero della giustizia, guidato da Nourreddine Bhiri, ha in mano dossier segreti importanti. Infine, il ministero dell’interno che ha al proprio interno una struttura parallela incaricata di controllare l’ordine pubblico e tutti gli oppositori. Un vero cavallo di Troia utilizzato per infiltrare tutti gli ingranaggi del potere.
È difficile immaginare la creazione di un governo tecnico con queste imposizioni, oltre al fatto che non era stata rispettata la pregiudiziale posta dall’opposizione: lo scioglimento della Lega di difesa della costituzione, una milizia al servizio di Ennahdha che si è resa responsabile di diversi attacchi alle manifestazioni.
Fin dallo scorso ottobre l’Unione generale dei lavoratori tunisini, la principale forza sindacale e punto di riferimento durante la rivoluzione, aveva tentato di costruire un dialogo tra tutte le forze politiche, ma il tentativo era stato boicottato proprio da Ennahdha e dal Congresso per la repubblica, il partito del presidente Marzouki.
Ora cosa succederà ? Secondo la legge transitoria tocca al presidente dare un nuovo incarico per la formazione del governo, anche se tutto quello che sta avvenendo in Tunisia è al di fuori della «road map» prevista prima delle elezioni. Infatti, secondo quanto stabilito dopo la caduta di Ben Ali le elezioni del 23 ottobre 2011 dovevano servire ad eleggere la costituente che entro un anno avrebbe dovuto varare la Carta costituzionale. Il governo formato in base ai risultati elettorali doveva restare in carica un anno, per gli affari correnti. Il governo invece ha approvato diversi provvedimenti mentre la Costituente è ancora in alto mare, divisa tra le forze islamiste e quelle laiche. Dopo l’assassinio di Belaid i costituenti dell’opposizione si sono ritirati ma l’assemblea continua i lavori, con quale legittimità ?
Intanto il panorama politico tunisino ha subito grandi cambiamenti. Secondo un sondaggio realizzato Sigma Conseil il sud e l’ovest continuerebbero ad essere in mano agli islamisti mentre nella grande Tunisi e nel nord la maggioranza andrebbe a Nidaa Tounes, la nuova formazione creata da Béji Caà¯d Essebsi, premier del governo provvisorio creato dopo la caduta di Ben Ali. Che nei giorni scorsi ha proposto al Fronte popolare di avviare un lavoro comune. Il Fronte popolare, di cui era leader Belaid insieme a Hammama, secondo i sondaggi otterrebbe intorno al 15 per cento dei voti.


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