Una banca per le infrastrutture Obama rilancia il suo new deal

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New York – Barack Obama rilancia gli investimenti nelle infrastrutture, propone 50 miliardi di spese immediate per le opere più urgenti, e vuole uno strumento finanziario ad hoc: una Banca nazionale delle infrastrutture. Con questo annuncio, è un altro pezzo dell’agenda di governo del secondo quadriennio che si precisa. Obama vi aveva accennato durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione, ora passa all’azione. L’investimento in infrastrutture risponde a due esigenze: modernizzare il paese per renderlo più competitivo; sostenere la crescita e quindi la creazione di occupazione. Obama sa che ogni atto di spesa rischia di arenarsi davanti al Congresso (i repubblicani hanno la maggioranza alla Camera) e per questo ha già  predisposto una soluzione: buona parte del suo piano per il rilancio degli investimenti in infrastrutture può partire senza autorizzazioni del Parlamento. Usando fondi già  esistenti, decreti dell’esecutivo, o fondi privati.
La National Infrastructure Bank è una mossa strategica e anche tattica. Una nuova istituzione finanziaria, controllata dall’Amministrazione federale, avrebbe un ruolo come motore d’iniziativa, stimolo e finanziamento. Potrebbe però mobilitare fondi privati accanto a quelli pubblici. La Banca delle infrastrutture è un’idea che ha l’appoggio della U. S. Chamber of Commerce, una sorta di Confindustria americana, una lobby potente e generosa con il partito repubblicano. I repubblicani tradizionalmente sono allergici alla creazione di nuove agenzie federali, ma in questo caso rischiano di mettersi contro una robusta constituency imprenditoriale. Il presidente della U. S. Chamber of Commerce, Tom Donohue, definisce questa banca «un ottimo punto di partenza». Il capitale di dotazione iniziale sarebbe modesto – 30 miliardi di dollari – ma servirebbe da catalizzatore per attirare fondi privati. Altre forme di finanziamento delle grandi opere saranno delle emissioni speciali di bond, battezzati America Fast Forward bond, cioè “America avanti tutta”. Si tratta di un programma ispirato all’esperienza dei Build America Bonds, che Obama lanciò con la maxi-manovra anti-recessione del gennaio 2009. In quella manovra di spesa pubblica quattro anni fa furono avviati investimenti pari a 181 miliardi di dollari per nuove infrastrutture. Ai primi posti nella lista degli investimenti infrastrutturali, ci sono i lavori definiti “Fix It First”, ovverosia “da aggiustare subito”. Sono infrastrutture bisognose di manutenzione, modernizzazione, consolidamento: strade, autostrade, ponti, ferrovie, metropolitane, aeroporti. La Casa Bianca stima che ci siano 40 miliardi di investimenti da far partire subito per rimediare all’obsolescenza della rete infrastrutturale. Il genio civile ha già  stilato l’elenco di 70.000 ponti che hanno bisogno di interventi strutturali. Recenti calamità  naturali – come l’uragano Sandy a New York sul finire dell’anno scorso – hanno confermato che alcune infrastrutture nevralgiche sono fragili e non reggono alla prova di shock esterni. Un altro elenco di progetti riguarda le infrastrutture energetiche, in particolare la rete elettrica; i porti che hanno bisogno di ampliamento, bonifica, drenaggio.
Sul sito della Casa Bianca appare anche un altro obiettivo: ridurre del 50% i tempi di approvazione per i progetti infrastrutturali. È un’operazione di sfoltimento della burocrazia che può piacere ai repubblicani, ma la Casa Bianca precisa di averlo concordato con le associazioni dei consumatori per garantire che la velocità  non vada a scapito delle verifiche sulla sicurezza e l’impatto ambientale. Il Recovery Act del 2009, ricorda la Casa Bianca, fu il più grande piano di investimenti in opere pubbliche dall’epoca del New Deal.


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