La resa di Giannino Lascia la guida di Fare (ma resta candidato)

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ROMA — Una riunione «carbonara» durata quasi cinque ore, un leader che rassegna dimissioni irrevocabili (e però resta candidato premier) e una nuova presidente. Giovane, spigliata, fascinosa. È l’epilogo del caso Oscar Giannino, una storia che sta vivacizzando gli ultimi giorni di campagna elettorale e interrogando gli italiani sulla natura dei nostri politici e sugli insondabili risvolti dell’animo umano.
La carta a sorpresa con cui Fare prova a riconquistare i potenziali elettori è un «semplice avvocato» ligure di 36 anni, che a tre giorni dal voto si ritrova sulla ribalta con l’incarico di coordinatore nazionale, le deleghe di presidente e il compito di traghettare i «fattivi» fino al congresso. Si chiama Silvia Enrico, è laureata in Giurisprudenza a Genova col massimo dei voti, non ha master e il suo look è appena meno eccentrico di quello del predecessore: pantaloni a sigaretta tempestati di strass, scarpe d’argento modello duilio e pelliccia grigio piombo, all’apparenza poco ecologica. Si occupa di diritto societario ed è socia dello studio «4Legal» di Genova, che si definisce «boutique di consulenza legale». Fresca di elezione, è subito a suo agio nella parte: «Basta, che non sono fotogenica! Oscar? È molto amareggiato, noi però non ci vergogniamo di lui. Resta il nostro candidato, saranno gli elettori a giudicarlo». Dall’India Michele Boldrin gli rivolge parole di affetto: «Oscar ha fatto errori, ma non ha nipoti di Mubarak nel curriculum. È stata una debolezza umana, si è costruito un personaggio… Io però gli voglio tanto bene e so che dobbiamo stargli vicino».
Il messaggio di «addio» del fondatore arriva via Twitter, rilanciato 1200 volte: «Dimissioni irrevocabili da presidente — scrive Giannino —. I danni su di me per inoffensive ma gravi balle non devono nuocere a Fare2013». Sono le tre, l’Hotel Diana è assediato da cronisti, cameramen e fotografi, ma il giornalista che si spacciò per economista li dribbla tutti, corre alla stazione Termini e sparisce dentro un treno per Milano. Stanco, affranto, ma deciso a smentire di aver mollato per fare un favore a Berlusconi: «Vero niente!». Dopo il fattaccio le simpatie di Monti nei suoi confronti sono aumentate e anche sul web c’è chi lo difende, ma giudizi critici e ironie si moltiplicano in modo esponenziale e salta fuori un’intervista al Foglio, novembre 2009, in cui Giannino racconta di aver cantato allo Zecchino d’Oro. Vero o falso? Negli atti del celebre concorso canoro il suo nome non c’è, a suo tempo Oscar disse di avervi partecipato, per ragioni familiari, «con le generalità  di un altro parente». A sera, alle «Invasioni barbariche», giura: «Ho preso la maturità  con il massimo dei voti. Avevo 9 e 10, le pagelle ce le ha mia madre…». E adesso sulla rete, oltre a battute (come «Giannetto mitomane perfetto») circolano anche veleni sulla veridicità  della sua malattia, per la quale da anni si dedica ai pazienti terminali. Giannino presenta dimissioni irrevocabili e i diciotto membri dell’organismo le accolgono. Il candidato premier offre anche la rinuncia al seggio, ma qui il parlamentino respinge il bel gesto.
La discussione è a tratti aspra, la porta della sala conferenze resta sbarrata per ore, i giornalisti vengono allontanati con scuse di ogni genere: «La direzione è saltata, quando si riunirà  ve lo faremo sapere». Dentro c’è tensione, preoccupazione. Finché il professor Luciano Mauro propone che sia la Enrico a ereditare la «pesante croce» di Giannino. Perché proprio lei? «Perché è brava, molto brava. L’idea è stata di mia moglie…». Ai tempi della politica spettacolo, un leader può anche nascere così.


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OLTRE IL PASSATO SENZA INDULGENZA

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  NON è facile orientarsi, in questi tempi strani. In questo Paese strano. Dove nulla comincia e nulla finisce davvero. Non è facile capire di che si discuta. Le questioni, gli eventi, gli attori. Dissociati dal contesto originale. Oppure, ricollocati in un contesto diverso.

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