Primo Mazzolari, estremista della pace, tra i candidati alla beatitudine

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Se non proprio osteggiato da quella stessa Chiesa nella quale entrò a inizio del secolo scorso: prima nel 1902 con il seminario e poi dieci anni dopo con l’ordinazione a sacerdote. Morì nel ’59, don Primo. E casualmente in quel periodo iniziò una specie di riabilitazione. Le alte sfere vaticane gli fecero avere i propri attestati di stima. E sarà  il prossimo Papa a decretare se il sacerdote diventerà  o meno beato. I vescovi lombardi, intanto, hanno avviato l’iter canonico.
E certo, nel leggere l’elenco complessivo dei 6 candidati alla santità  insieme a don Primo, con Carlo Acutis, Fra Jean Thierry, monsignor Giovanni Cazzani, Teresio Olivelli fa specie trovare l’«amico dei poveri» Fratel Ettore. Un tipo che si faceva notare pur vivendo nelle catacombe di Milano, lerci tunnel abitati da eroinomani e barboni: perché, risalito in superficie, girava con una vistosa Madonna sopra la capotte della macchina, e viaggiava con indifferenza, dovesse andare in un dormitorio e a parlare col sindaco, in Questura per salvare la pellaccia di qualche briccone suo ospite arrestato per furto e all’Arcivescovado per aggiornare i superiori dei suoi progetti, per una sfuriata o per una vibrata protesta. Sempre con un modo impossibile da non adorare, pur se irruento e per certi versi spietato. Sicché non stupisce se un bel giorno Carlo Maria Martini lo accompagnò per servire il cibo nella sua affollata mensa per gli ultimi.
Anche don Primo fu uomo (e don) d’azione, con identica abilità  (e sotto sotto una naturale inclinazione) a sporcarsi mani, piedi e faccia. Già  in prima fila nella lotta di Liberazione, già  arrestato, visse in clandestinità  per sfuggire alle retate. Nel contempo lasciò feconda traccia scritta. E molti scritti rimasero censurati perfino nella fase della distensione, che coincide per l’appunto con la fine degli anni Cinquanta: nel ’57 l’arcivescovo Montini lo invitò a predicare alla Missione di Milano e nel ’59 fu ricevuto in udienza da Giovanni XXIII. Negli scritti don Mazzolari girava al largo dalla paura e dal difensivismo di un Cristianesimo che, invece, si augurava fosse audace, coraggioso, capace di aprirsi alla modernità , al confronto, alle sollecitazioni. E mai, mai piegato ai compromessi, alle volontà  del potere, certo con i rischi che una presa di distanza, se non un forte rifiuto, si portassero dietro.
E però gli studiosi ancor prima degli innamorati del sacerdote cremonese, da sempre insistono sull’importanza del mestiere di don Primo. Il quale, spiegano, fu davvero sacerdote, pastore, ostinato nel dir messa nonostante la malattia, le sofferenze e gli spasmi; fu sacerdote nello stare in mezzo alla gente, nell’ascoltarla, nel prendersi rifiuti e insulti, nel venir deriso e isolato. Nel ’31 due sicari lo chiamarono alla finestra sparandogli tre colpi di pistola. Nel ’34 il Sant’Uffizio gli ordinò di ritirare le copie del libro «La più bella avventura», in cui invitava la Chiesa ad avvicinarsi ai «lontani», ossia ai non credenti. Troppo facile, per don Primo, il compitino di predicare davanti a una platea di cattolici. Sostenne un altro pontefice, Pio VI, che questo sacerdote «aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti».
Nato contadino, don Primo morì povero. Nel testamento spirituale quasi chiese scusa alla sorella per la misera eredità , quattro mobili per di più azzoppati, vecchi, malandati. Si arruolò nella Prima Guerra Mondiale, divenne cappellano militare.
Nel 2004 fu trasmessa sulla Rai una docu-ficton dedicata a don Mazzolari. Titolo: «L’uomo dell’argine». Ebbe qualche complicazione, ad andare in onda, e venne girata a bassissimo costo.


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