La tela di Baldassarri per frenare l’inchiesta
SIENA — La condotta di «ostacolo alla vigilanza di Gianluca Baldassarri è perdurata fino all’ottobre 2012», dunque diversi mesi dopo la sua uscita dal Monte dei Paschi. È uno dei passaggi chiave del provvedimento di fermo firmato dai magistrati senesi contro l’ex capo dell’Area Finanza accusato anche di associazione a delinquere e truffa. Il resto lo fanno lo sblocco dei titoli per un milione di euro, ma soprattutto il trasferimento di 750 mila euro a una società estera che risulta intestataria di una villa di Miami. Il manager è stato rinchiuso nel carcere milanese di San Vittore e questa mattina sarà interrogato dal giudice che dovrà decidere se convalidare la misura. «Risponderà alle domande e chiarirà che non aveva alcuna intenzione di scappare», anticipa l’avvocato Filippo Dinacci che ieri lo ha incontrato in cella.
Tre pagine sono bastate ai pubblici ministeri Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso per motivare il pericolo di fuga dell’indagato e la possibile reiterazione dei reati che vengono contestati. Nonostante sia ormai fuori dalla banca senese, gli inquirenti ritengono che Baldassari possa continuare a inquinare le prove, comunque a mentire a Consob e Bankitalia, probabilmente con la complicità di persone che con lui hanno lavorato. Non a caso viene citato il contratto stipulato con Nomura sul «derivato» Alexandria che venne nascosto nella cassaforte dell’allora direttore generale Antonio Vigni e scoperto proprio nell’ottobre scorso dal nuovo management che subito lo segnalò alla Banca d’Italia.
Secondo Vigni fu proprio Baldassarri a proporre quell’operazione finanziaria e oggi sarà lui a dover spiegare perché si decise di tenerla segreta. L’accusa ritiene che la scelta di occultare l’accordo si fosse resa necessaria per non svelare le difficoltà finanziarie della banca. Esattamente come era accaduto nel 2008, quando si trattò di comunicare al mercato e all’autorità di vigilanza il «Fresh» con Jp Morgan. I prospetti e le relazioni parlavano di un aumento di capitale per un miliardo di euro, in realtà si trattò di un vero e proprio prestito che, questa è l’accusa, causò una gravissima esposizione patrimoniale a Mps. «Il 18 gennaio 2013 — è scritto nel provvedimento di fermo — Bankitalia ha comunicato e confermato che il contratto con Nomura non era stato esibito ai funzionari che avevano effettuato l’ispezione presso l’Area Finanza».
I pubblici ministeri sottolineano il pericolo di reiterazione del reato, ma è su quello di fuga che puntano la loro attenzione. E per questo citano quanto dichiarato da Alberto Cantarini, amico di Baldassarri e suo vice in Mps fino al 2004. Sarebbe stato proprio lui a confermare l’intenzione del manager di trasferirsi a Londra dove già vive la figlia che lì ha preso in affitto una casa dallo scorso settembre, dove risulta presentata anche una sua richiesta all’ufficio degli italiani residenti all’estero.
Il Regno Unito è una delle possibili destinazioni indicate dai magistrati, che però non escludono l’intenzione di Baldassarri di fuggire a Miami. Per questo evidenziano come «l’indagato abbia trasferito 750 mila euro alla società Biscayne Bay Holdings che risulta titolare di un immobile a Miami». Non solo. Secondo le verifiche effettuate dagli specialisti del Nucleo Valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo, sono state date disposizioni «per effettuare la ristrutturazione degli appartamenti». L’ulteriore tassello, secondo l’accusa, per dimostrare la volontà di «sottrarsi agli accertamenti, soprattutto visto il clamore mediatico della vicenda».
Baldassari ha subìto il sequestro di circa 18 milioni di euro che in passato aveva trasferito all’estero e poi fatto rientrare grazie allo scudo fiscale. Ma poteva contare evidentemente su altri soldi. «L’11 febbraio scorso — scrivono i pubblici ministeri nel decreto di fermo — ha contattato Banca Profilo chiedendo la liquidazione totale dei suoi investimenti e il trasferimento sul proprio conto corrente aperto presso lo stesso istituto per un importo pari a circa un milione di euro. Si tratta di disponibilità che non erano state oggetto di scudo fiscale». Era appena rientrato in Italia da una vacanza alle Maldive. «Se voleva — commenta Dinacci — poteva fermarsi all’estero».
Fiorenza Sarzanini
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Che il Pd nella fase della sua dissoluzione sarebbe finito, insieme al suo “facilitatore” Napolitano, in bocca a Berlusconi, fino a subirne le imposizioni più oscene, era prevedibile fin da quando aveva scelto Monti invece di una verifica elettorale che lo vedeva, allora sì, sicuramente vincente. Gli ultimi due anni hanno così messo in luce che il Pd non è un partito di governo. Perché non è, e da tempo, in grado di assumersi la responsabilità di governare, se non in compagnia di forze che possano essere presentate come «imposte dalle circostanze».