Chiudere il «costoso» capitolo delle guerre: parola di presidente

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La politica estera entra nel discorso di Obama su tre punti il primo dei quali rilancia una strategia di contrazione dell’arma nucleare mentre l’ultimo affronta il tema più scottante per chi vuole passare per il presidente che avrà  chiuso il capitolo guerre aperto dal predecessore.
Via dall’Afghanistan
Si becca due salve di applausi Barack Obama quando affronta il nodo afghano: «Già , abbiamo portato a casa 33mila dei nostri coraggiosi militari, uomini e donne. In primavera – dice Obama – le nostre forze avranno solo un ruolo di sostegno mentre le forze di sicurezza afgane prenderanno l’iniziativa. Stanotte posso annunciare che il prossimo anno altri 34mila soldati americani torneranno a casa… ed entro la fine del prossimo anno, la nostra guerra in Afghanistan sarà  finita». Gli applausi coprono le sue parole (e, dopo alcune ore, l’applauso gli arriva anche da Karzai in persona). Obama in effetti ha voluto rassicurare anche Kabul: «Dopo il 2014, il nostro impegno per un Afghanistan unito e sovrano durerà , ma cambierà  la natura del nostro impegno. Stiamo negoziando un accordo con il governo afghano – aggiunge – che si concentra sulla formazione e l’equipaggiamento delle forze afgane in modo che il Paese non scivoli di nuovo nel caos, e sugli sforzi antiterrorismo che ci permettono la caccia ai resti di al Qaeda e affiliati». E se, dice Obama, l’organizzazione che ci ha attaccato l’11 settembre è «l’ombra di se stessa» (applausi) è pur vero che la minaccia si sposta in Africa. Ma, aggiunge, «per rispondere a questa minaccia, non abbiamo bisogno di inviare decine di migliaia di nostri figli e figlie all’estero o occupare altre nazioni». Il messaggio ai francesi è chiaro. Agli americani anche. Tutti a casa. Ma ci sono anche le ombre su cui il presidente, ovviamente, sorvola.
In realtà  sull’Afghanistan restano da sciogliere due nodi: le basi militari e i talebani. Il primo sembra una palude coperta di nubi, il secondo è viziato dalla richiesta Usa di immunità  per le truppe che resteranno nel Paese dopo il 2014. Kabul per ora tiene il punto e rifiuta. Poi c’è anche l’interrogativo su quanti militari resteranno dopo il 2014. Obama non lo scioglie ma, secondo il Post, 8mila unità  potrebbe essere la mediazione tra le richieste del Pentagono (almeno 10mila) e le riduzioni imposte dalla presidenza. È comunque stato più chiaro del nostro governo e del nostro ministero della Difesa, visto che non sappiamo bene se i mille soldati italiani che rientrano a casa sono già  partiti, stanno partendo, partiranno.
Ridurre le testate nucleari
Sono altre due le novità  in politica estera (a parte le considerazioni sul cambiamento climatico declinate però soprattutto a livello nazionale) e riguardano il nucleare. Obama vuole una riduzione drastica dell’arsenale mondiale, con un taglio di oltre un terzo delle testate. È convinto che con la sua proposta di forti tagli, gli Stati uniti potranno risparmiare quattrini ma senza compromettere in alcun modo la sicurezza dell’America. Il presidente – dicono gli osservatori – vorrebbe raggiungere un accordo informale con Vladimir Putin su una cornice di tagli comuni, aggirando così la ratifica del Congresso. In sostanza per Obama, che vorrebbe dunque seppellire l’eredità  della Guerra Fredda, le minacce sono cambiate e bisogna evitare che il nucleare finisca – ha detto il presidente nel suo discorso – nelle «mani sbagliate». Si dovrà  ora vedere non solo come andare all’accordo con Mosca ma dove le testate saranno neutralizzate, un tema che riguarda da vicino anche l’Italia dove gli Usa hanno parte del loro arsenale.
La sfida nordcoreana
Com’era da aspettarsi, la coniugazione di una nuova dottrina sull’arma nucleare attraversa l’Iran (ma il passaggio nel discorso è stato blando e con un invito al negoziato) e la Corea del Nord che, mentre Obama limava il discorso, lanciava il suo terzo test nucleare con un ordigno di potenza doppia rispetto al passato. Anticipando quel che farà  il Consiglio di sicurezza, riunitosi dopo il test di martedi mattina, Obama ha lanciato un duro avvertimento a Pyongyang sostenendo che alle sue provocazioni bisogna rispondere con «azioni determinate». Quali ancora non si sa, visto che la gamma di sanzioni possibili verso la «monarchia» dei Kim è già  stata applicata. Ma il vero punto di forza è un altro: l’appoggio della Cina, grande fantasma (tranne che per un passaggio in tema di ambiente) del discorso di Obama. Le dure dichiarazioni di Pechino contro Pyongyang dopo il test nucleare, fanno capire che il rapporto tra i due Paesi è cambiato. I cinesi strizzano l’occhio a Washington e l’America ricambia. Anche senza citare il Celeste impero.


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