Il prigioniero che imbarazza Netanyahu

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GERUSALEMME — Il “prigioniero X” scuote a fondo lo Stato d’Israele, scatena una bufera di sospetti e accuse sul governo Netanyahu ed entra con passo pesante anche nell’area grigia dell’intelligence, dei servizi segreti, del Mossad, squarciando almeno in parte il segreto di Stato che fino a ieri sera aveva coperto il caso. Con il governo affannato a soffocare la notizia, confermata solo ieri, e la stampa in Israele, imbavagliata dalla censura, ma decisa a combattere la sua battaglia per libertà  d’informazione. Il caso è acceso dalla tv australiana Abc che martedì ha rivelato che il “prigioniero senza nome” in un carcere israeliano di massima sicurezza, trovato impiccato nella sua cella nel 2010, era in realtà  un ebreo australiano arruolato dal Mossad, uno 007 che aveva compito audaci missioni in Iran, Libano e Siria. Il premier israeliano ha cercato di impedire la diffusione della notizia convocando i proprietari e i direttori di giornali e tv per chiedere di non pubblicare informazioni «relative a un incidente molto imbarazzante per una certa agenzia del governo». Ma il caso del “prigioniero X” è arrivato ieri pomeriggio alla Knesset con le interrogazioni parlamentari dell’opposizione che — approfittando della loro immunità  parlamentare — hanno aggirato la censura e chiesto spiegazioni al ministro della Giustizia presente in aula. Un minuto più tardi stampa, tv, blog, twitter e social network israeliani, “liberati dalla censura”, hanno finalmente
potuto iniziare a raccontare la storia di Ben Zygier. Il prigioniero del carcere di massima sicurezza di Ayalon, detenuto per reati ignoti e confinato in isolamento totale, era
tenuto d’occhio costantemente da telecamere di sicurezza. Nemmeno i secondini sapevano chi fosse o cosa avesse fatto, tranne che quella cella speciale era stata costruita per un precedente inquilino, l’assassino dell’ex premier Rabin. Un livello di sicurezza che fa pensare a reati gravissimi, al tradimento, forse un doppio-triplo gioco nello spionaggio con qualche Paese nemico. Fu ritrovato impiccato, un apparente caso di suicidio, nel dicembre 2010; la salma fu poi trasferita in segreto a Melbourne e sepolta in un cimitero ebraico.
Zygier, che in Israele si faceva chiamare Ben Alon, era arrivato da Melbourne nel Duemila a 24 anni, aveva sposato una donna israeliana e i due avevano due figli piccoli. Dopo il servizio militare, venne arruolato dal Mossad e grazie al suo passaporto australiano — ne userà  diversi con diversi nomi — ha viaggiato in Iran, Libano e Siria, entrando “nel cuore del nemico” di Israele.
La “spy story” è ancora tutta da rivelare. Troppe nebbie e troppi misteri per Aluf Benn, direttore del quotidiano Haaretz.
«Il caso», scrive nel suo infuocato editoriale, «riflette la mentalità  retrograda dei capi dello spionaggio israeliano, che pensano di vivere ancora nel secolo scorso con i segreti chiusi nelle casseforti del regime». Non è meno tenero il giornalista e scrittore Yossi Melman, specialista del mondo dello spionaggio: «Il governo, l’esercito, la censura devono rendersi conto che viviamo nel 21esimo secolo e non è più possibile proteggere certi segreti».


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L’F-35 spareggia il bilancio

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Una schiacciante maggioranza bipartisan (salvo l’Idv), modificando l’art. 81 della Costituzione, ha fatto dell’Italia una repubblica fondata sul pareggio di bilancio, in cui la sovranità  appartiene al mercato. Lo Stato, recita il nuovo testo, assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi del ciclo economico. C’è però un problema: come si fa ad assicurare l’equilibrio se si decide una spesa senza sapere a quanto ammonta? La domanda va girata agli onorevoli che hanno approvato la modifica della Costituzione, perché sono gli stessi che hanno approvato l’acquisto dei caccia statunitensi F-35. Senza sapere quanto sarebbero venuti a costare. Hanno prima creduto (o fatto finta di credere) agli imbonitori della Lockheed che parlavano di 65 milioni di dollari per aereo. Ma c’era il trucco: era il prezzo dell’aereo «nudo», senza neppure il motore.

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