La banda Maroni all’assalto dello Stato

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Ma anche per la Lega Nord e Roberto Maroni, che tra due settimane corre da presidente della Lombardia. E se perde, come è più che probabile, addio Carroccio. Sì, perché è lui che ha partecipato con passione ad infeudare il polo aeronautico di Finmeccanica, per spostarne l’asse di comando nel suo feudo geografico, in quel di Varese. Non solo le fabbriche sparse tra Venegòn de Sot (Venegono di Sotto in italiano), Vergià a (Vergiate), ma anche Venegono Superiore, dove Orsi poco più di un anno fa ha trasferito dall’abisso terrone di Pomigliano d’Arco la sede legale di Alenia Aermacchi Spa, dopo la strana incorporazione dell’azienda più grande in quella più piccola. Un impegno preso con la Lega per ottenerne l’appoggio nella scalata a Finmeccanica, al posto di Pier Francesco Guarguaglini.
Soltanto una rivendicazione nordista e segnatamente varesotta, in onore della provincia fatale della Lega Nord e del suo leader o anche un’occasione per rimpinguare le casse del pezzo di partito impegnato nella battaglia interna con il Cerchio magico di Bossi, attraverso un cospicuo sfioro sui 51 milioni destinati alla corruzione in India? Ecco in che direzione va l’inchiesta.
Quel che è certo è che Giuseppe Orsi, di San Rocco al Porto, figlio di un farmacista con negozio all’uscita autostradale di Piacenza Nord oggi gestito dalla sorella, conosce Bobo Maroni da molti anni. Emilia Macchi, la moglie del candidato governatore della Lombardia, è apprezzata dirigente dell’Aermacchi. Ma questo, naturalmente, non prova nulla. Se mai, più significativa è la battaglia che contrappose Gianni Letta, lord protettore di Pier Francesco Guarguaglini, e Giulio Tremonti, oggi candidato premier della Lega targata Maroni, col suo protegè Marco Milanese, capo dell’ufficio di collocamento dei nuovi, famelici boiardi padani.
In Finmeccanica avevano già  collocato nel 2011 come consigliere d’amministrazione Dario Galli, presidente leghista della provincia di Varese, uomo non particolarmente attento a una sana gestione aziendale, ma di sicuri sentimenti xenofobi: «I profughi – asseriva mentre i poveretti morivano come mosche in mare – se li prendano quelli che votano centrosinistra e hanno grandi case». Ma Finmeccanica, l’antico dinosauro delle Partecipazioni Statali, insieme all’Eni uno dei pochi residui grandi gruppi industriali d’Italia, andava preso dalla testa. «Guarguaglini deve rimanere, ha fatto grande questa azienda», proclamava Letta mentre gli scandali, giorno dopo giorno, avviluppavano il palazzo romano di piazza Monte Grappa, percorso da faccendieri, impostori, mediatori internazionali, ladri e sicofanti. «Non si discute, quel posto tocca a noi», replicava Giancarlo Giorgetti, ex bocconiano di Cazzago Brabbia (Cazagh sulla targa in varesotto), presidente della Commissione Bilancio della Camera, tra l’altro autore con la coppia Tremonti-Milanese dell’ascesa di Massimo Ponzellini, di origine compaesana, al vertice della Banca Popolare di Milano, dalla quale è poi uscito in manette.
Al “Tavolo di coordinamento nomine”, cui con Giorgetti partecipavano Gianni Letta, Milanese per conto di Tremonti, Ignazio La Russa, e altri politici di volta in volta, il leghista si batté da par suo per Orsi, il boiardo del Varesotto, leghista di complemento e cattolico fervente, tendenza affaristica Comunione e Liberazione. In cambio della valorizzazione industriale del sacro suolo varesino. E poi? L’accusa sospetta che per favorire la sua promozione Orsi abbia dovuto anche mettere mano al portafoglio. Non il suo, naturalmente, ma quello dell’Agusta. La fonte primaria non è propriamente tra le più affidabili. È quel gentiluomo di Lorenzo Borgogni, ex direttore delle relazioni esterne, dispensatore di tangenti ai partiti e a sé stesso, che Marco Milanese definisce «ladro di polli», come dire il bue che da del cornuto all’asino. Ma non si fatica a credergli, visti i precedenti. Né a credere che i magistrati di Busto Arsizio abbiano trovato i necessari riscontri, nel momento in cui denunciano addirittura manovre inquinanti di Orsi e del suo entourage in corso nei giornali e fino al Consiglio Superiore della Magistratura per farli fuori.
Secondo la ricostruzione di Borgogni, nella vendita dei dodici elicotteri al governo indiano fu riconosciuto un compenso di 41 milioni di euro al mediatore Guido Ralph Haschke. Ma Orsi gli chiese di sottrarre dal suo compenso nove milioni da far tornare a lui. Di fronte al rifiuto, la consulenza fu aumentata di altri dieci milioni «per soddisfare le esigenze dei partiti e in particolare della Lega Nord». Se è così, mentre il Cerchio magico di Bossi spolpava con Belsito i rimborsi elettorali per comprare diamanti e lauree tarocche, l’ala “tecnocratica” varesina era alla scalata della sentina Finmeccanica, l’ultimo grande gruppo manifatturiero italiano, dove già  imperversava il berlusconismo arrembante, ex fasci, ex diccì, ex piessei. Tutti insieme appassionatamente, da Mokbel a Valterino Lavitola, fino ai resti viventi delle cene eleganti di Arcore.
Ora vi diranno che la Finmeccanica, con 75 mila dipendenti e 18 miliardi di fatturato, è l’eccellenza italiana nel mondo nel settore aerospaziale e degli armamenti. Che grandi affari sono in corso: elicotteri alla Russia e alla Corea del sud, 700 milioni di commesse appena conquistate al Salone elicotteristico di Dallas. Se poi va sborsata qualche “commissione” internazionale, nessuno s’impanchi a verginella. Chi scoperchia gli scandali lavora contro il paese in crisi. Esattamente quel che si diceva in altre epoche, quando Vittorio Emanuele di Savoia vendeva elicotteri Agusta e armi, con la protezione della politica, della Loggia P2 e dei Servizi segreti, dirottandoli verso paesi della lista nera dell’Onu e distribuendo ovunque tangenti. Sono passati più di quarant’anni, ma sembra che nella governance del più grande gruppo manifatturiero d’Italia, le abitudini ancestrali siano state soltanto aggiornate ai tempi, ma sul vecchio schema. Mentre la Lega Nord, la forza di popolo cultrice vent’anni fa dei riti celtici tra i bravi valligiani del nord, puri e indefessi, increduli di fronte ai fasti e soprattutto ai nefasti di Roma ladrona, ha finito per incistarsi nel grande, vecchio dinosauro delle Partecipazioni statali, come in un tragico contrappasso etico. Varese come Roma.
Chissà  se tra due settimane Bobo Maroni, presunto moralizzatore della sciagurata epoca formigoniana, riuscirà  ancora a parlare a quel popolo che per primo incarnò l’insofferenza verso i partiti di Roma ladrona. O se dovrà  certificare nelle urne lombarde la fine dell’avventura leghista.


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