Micro centrale su zaini e cellulari l’ultima frontiera dell’energia solare

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BOSTON — L’energia del Sole è come un’onda. Si flette, si piega, può perfino essere infilata in tasca. Come fosse un foglietto per prendere appunti, Vladimir Bulovicla la stropiccia e la ributta sul tavolo. Poi collega a un orologio un elettrodo che spunta da quello che all’apparenza è solo un quadratino di carta. E l’ora si illumina.
L’energia che sembra venire dal nulla, nasce da una cella solare che si stampa sulla carta, messa a punto dal laboratorio Eni-Mit di Boston, di cui Bulovic è uno dei capi-progetto. L’esperimento ha funzionato con i fogli A4, un fazzoletto di carta, una pagina di giornale. Una pellicola di celle solari spessa 100 nanometri (cento volte più sottile di un capello) basta affinché un foglio di carta diventi fonte luminosa.
Per chi è abituato al pannello solare incastonato sul tetto o su telai di alluminio, l’idea di una fonte di energia che si piega e si mette in tasca è una rivoluzione. «Tutto potrà  essere ricoperto con questo materiale — spiega Andrea Maurano, ricercatore al Mit ma originario di Napoli — dai vestiti agli zaini, alle custodie che produrranno energia per alimentare il telefono che avvolgono. Le tende da campeggio e quelle delle finestre ». Mentre parla manovra un lungo apparecchio: un incrocio fra un treno a vapore e uno scafandro da palombari disteso in orizzontale. Quando Obama venne in visita qui, nel 2009, scrisse su uno dei tubi “great work”. Al loro interno è stato creato il vuoto quasi assoluto. Non c’è nulla, nessuna traccia di impurità . Solo i materiali con cui le celle solari vengono costruite atomo su atomo, incastonate in forme perfette. Bastano un paio d’ore per ottenerne una. E anche se per il momento l’efficienza del pannello stampato su carta è ancora bassa (l’1% dell’energia che arriva dal Sole diventa elettricità , mentre si punta ad arrivare al 4-5% per la commercializzazione), nuovi composti chimici vengono sperimentati a getto continuo. L’obiettivo è trovare la miscela più adatta a catturare l’energia del Sole.
Celle solari che utilizzano nanomateriali sottili e leggeri, o che si basano sulla formula chimica delle plastiche per abbattere i costi, sono gli altri filoni di ricerca del Mit. Ma al di là  dei pannelli, il progetto che più assomiglia a un sogno è quello delle “foglie artificiali”: dispostivi che cercano di replicare la fotosintesi. Ottenere idrogeno e ossigeno partendo da acqua e Sole potrebbe rendere finalmente l’idrogeno una fonte su cui contare. E nel futuro, oltre a pannelli solari e specchi per la concentrazione dei raggi, potremmo forse sentir parlare di alberi artificiali come sorgenti di energia.
L’idea di fondo è che il fotovoltaico sia arrivato a una svolta in cui o decolla o rischia di morire. A fargli fare il salto di qualità  â€” scommettono i ricercatori — non sarà  il silicio. Il materiale che oggi ricopre buona parte dei tetti sembra vicino ai limiti di efficienza. Le celle solari prodotte in laboratorio riescono a trasformare il 24% dell’energia del Sole in energia elettrica. I pannelli commerciali raggiungono un’efficienza poco superiore al 15%. Il limite teorico per pannelli realizzati in silicio è il 31%. Oltre non si può andare.
Gli incentivi governativi, soprattutto in Europa, hanno gonfiato la richiesta fino a tre anni fa, ma poi sono stati drasticamente strozzati. Da allora un eccesso di produzione concentrato in Cina ha portato a un crollo dei prezzi e al terrore che lo stock di pannelli di vecchia generazione resti invenduto, con materiali assai difficili da smaltire. Ora che negli Stati Uniti il boom dello shale gas (gas da argille) ha reso l’energia meno costosa, molte fra le aziende più innovative specializzate nel solare sono fallite. E la stessa legge non scritta secondo cui, dal 1975 a oggi, le celle solari hanno raddoppiato la capacità  ogni due anni e mezzo, sembra aver perso valore. Un settore che nel decennio passato è cresciuto a ritmi annui del 30%, ora si ritrova in una palude. Come conferma Francesca Ferrazza, vicepresidente del Dipartimento innovazione tecnologica dell’Eni. «Nei laboratori più avanzati non usiamo quasi più il silicio, cerchiamo composti nuovi, li assembliamo e li usiamo per costruire celle solari innovative».
Nel laboratorio di ottica del Mit intanto nastri di luce colorata creati dai laser rompono il buio. Qui le celle solari complete vengono testate. Il compito di questi materiali sarà  di scomporre la luce del Sole e piegarne i raggi alla nostra fame di energia.


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