Il match tra Grasso e Ingroia Prima due baci, poi i colpi bassi

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PALERMO — Un po’ discoli, i ragazzi di Addiopizzo accolgono Antonio Ingroia e Piero Grasso per la prima volta insieme su un palco, anzi, in un’aula universitaria, con Gaber per sottofondo che si interroga su «che cos’è destra, cos’è sinistra…». E loro, dopo stretta di mano e doppio bacio, al primo incontro da aspiranti futuri Guardasigilli, pardon, Ingroia addirittura da premier, non rinunciano a scintille e frecciate. In fondo, come accadeva anche da magistrati, nei corridoi del «palazzo dei veleni», come fosse il girone di ritorno per un derby giocato nella loro Palermo.
Ma con il primo fendente di Grasso, tornato in terra natia solo di sforo: «Ho scelto di candidarmi a Roma per stile e correttezza». Ovviamente non incassa l’avversario che cerca voti nell’isola e che con la toga passava per «caselliano» ostile a Grasso: «Io avevo detto che non mi sarei candidato sotto le bandiere dei partiti. E ho fatto un mio movimento. Lui ha invece scelto, legittimamente, di candidarsi sotto le bandiere di un partito che non ha mai fatto la lotta alla mafia».
Ed ecco il primo uno-due annullare i due baci sulle guance che, appena in sala, s’erano scambiati, quasi costretti dalle circostanze. Ingroia replicava alle critiche di Renzi che gli rimprovera di favorire Berlusconi («Parla a casaccio, criticava Bersani, ora ci va a braccetto»), quando è arrivato l’ex procuratore nazionale bucando la folla con una battuta: «Sono grasso, ho bisogno di spazio». Subito trovato dai cronisti che l’hanno quasi spinto verso l’avversario, appunto, provocando lo smack: «Antonio? Un valoroso e bravo magistrato… Benvenuto in politica».
Carineria sfumata non appena Grasso si dichiara «felice di essere nel Pd» e Ingroia infierisce dicendo che «Bersani è il capo di un partito vecchio che non ha saputo rinnovarsi». Anzi, incalza: «Dov’era Bersani, quando c’era da approvare in Parlamento la legge antiriciclaggio? Era a braccetto con Berlusconi, a sostenere il governo Monti».
Sarà  per la barba ingrigita, per il gilet, per la caricatura di Crozza l’implacabile, ma Grasso con le scarpe griffate e il braccialetto da teenager pur con i suoi 67 anni non teme confronti e graffia risentito: «Il Pd ha perfino escluso alcuni candidati eletti alle primarie, ha avuto questo coraggio. E ha costretto così altri partiti a depennare gli impresentabili». Non cita Dell’Utri e Cosentino. Ma spiega che «anche l’elettorato ha le sue colpe e il partito è intervenuto…».
Ma anche questo indiretto riferimento al «barone rosso» del Pd siciliano, Mirello Crisafulli, non acqueta Ingroia schiacciando al ruolo di difensore del Pd Grasso, da sempre mediano o attaccante. Con loro, oltre al coordinatore Pdl Dore Misuraca e ad Alessandro Piacentini per Giannino, c’è Fabio Granata, il delfino di Fini che Ingroia chiama «amico», mentre Grasso manco lo cita per nome: «Il Pd non è riuscito a far tesoro delle antiche vicende dell’Unipol ed è caduto in questa storia del Monte dei Paschi». S’infuria Grasso e l’acuto si miscela col rossore delle guance: «Ingroia tira sempre in ballo il Pd, ma mai anche in queste storie di banche fa il nome di Verdini. Né parla mai di Berlusconi. Che voglia veramente favorirlo?».
Quesito lanciato quando l’allievo di Borsellino è già  andato via e gli applausi sono solo per l’amico di Falcone, stando a etichette stucchevoli anche per tanti magistrati.


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