La «pista mediterranea» che risale (tangenti comprese) all’azienda-Stato di Algeri

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Il tutto dopo aver aggiunto l’associazione a delinquere alle ipotesi di corruzione, riciclaggio e sperpero di denaro pubblico che fino a quel momento erano contestate agli indagati locali. Una quindicina di ex-manager eccellenti (più qualche parente stretto) della compagnia petrolifera nazionale, la Sonatrach appunto, un vero e proprio «Stato nello Stato» che vale più o meno il 60 per cento dell’intera ricchezza del Paese e il 97 per cento delle sue esportazioni.
Ma la giustizia algerina non si è fermata lì: nella stessa occasione, e mentre in Italia stavano maturando i nuovi passi dei pm milanesi, la Saipem si è ritrovata sul banco degli imputati, con l’accusa di corruzione. Addebito, peraltro, condiviso con altre due piccole società : la Contel Algerie e una joint-venture partecipata dalla tedesca Funkwerk Ag, società  che lavora nella sicurezza per i campi petroliferi. A riferirlo sono stati i quotidiani algerini come El Watan, che seguono con interesse anche gli sviluppi delle inchieste della Procura di Milano.
Non ci sono dubbi, comunque, che il cuore di tutta la vicenda risieda proprio lì, nello «scandalo Sonatrach» che a metà  gennaio di tre anni fa ha decapitato da un giorno all’altro la compagnia petrolifera algerina, ha fatto traballare il presidente Abdelaziz Bouteflika e ha causato la fine della carriera di Chakib Khelil. Cioè del potente ministro dell’energia, ex numero uno dell’Opec e figura di spicco dell’entourage del presidente algerino. Lo stesso uomo dell’incontro parigino contestato a Paolo Scaroni dai pm milanesi. Il giro di bustarelle attribuito alla Saipem (200 milioni di dollari per contratti per una ventina di miliardi) avrebbe quindi costituito solo l’innesco per un intrigo politico interno tra potere civile e militare, tra liberalizzatori e conservatori, uno scontro di cui non si potranno forse mai conoscere tutti i dettagli.
Lo «scandalo Sonatrach» esplode ufficialmente il 14 gennaio 2010. In Europa e nel resto del mondo solo gli uomini delle compagnie petrolifere se ne occupano con attenzione, perché per loro è un vero e proprio terremoto in un importante mercato. Vengono messi in carcere o sotto sorveglianza il presidente Mohamed Meziane e tre dei quattro vicepresidenti. In tutto 15 manager di primo livello, più i due figli di Meziane, che avrebbero avuto legami con lo società  vincitrici dei contratti Sonatrach. Perché di quello si tratta: corruzione per ottenere lavori e commesse. Subito circolano le prime ricostruzioni: l’inchiesta sarebbe stata portata avanti (e fatta trapelare al pubblico) dal Drs, il servizio segreto militare che sarebbe riuscito ad infiltrare alcuni suoi agenti nel team che stava verificando i bilanci e i conti della Sonatrach. Il braccio di ferro, insomma, sarebbe avvenuto ai massimi livelli dello Stato.
L’Algeria, tra i pochi Paesi immuni dalla «primavera araba», è l’ottavo produttore al mondo di gas, e il quarto africano di petrolio. Non vi operano solo l’Eni e la Saipem, ma anche gli americani di Anadarko, i francesi di Total e GdfSuez (c’è anche l’italiana Edison controllata dalla transalpina Edf), i tedeschi di Rwe, gli spagnoli di Repsol e Cepsa. La concorrenza è feroce, anche se quasi sempre le compagnie lavorano insieme per spartirsi spese e rischi. Dal 1999, da quando Bouteflika è arrivato al potere, lo scontro interno alla dirigenza algerina avviene tra i favorevoli all’apertura alle compagnie occidentali e i nazionalisti, che non vogliono che alzino troppo la testa.
Tra i primi c’è appunto Khelil. Ha studiato in Texas, ha lavorato alla Banca Mondiale e prima di diventare ministro dell’Energia ha presieduto in prima persona la Sonatrach. Per conto di Bouteflika si è fatto interprete della liberalizzazione e dello sviluppo internazionale della società . Il suo successore Meziane, travolto dallo scandalo del 2010 con i suoi due figli, è stato da lui scelto. Tra gli «oilmen» è risaputo che alla Sonatrach nulla si muoveva senza l’assenso di Khelil, e l’attacco alla «sua» azienda è interpretato come un attacco alla sua posizione in seno all’establishment. Non sorprende che qualche mese dopo lo scandalo (maggio 2010) il presidente algerino vari un rimpasto di governo e lo escluda dalla nuova compagine per sostituirlo con Youcef Yousni, più volte ministro e navigato uomo politico. Il nome di Khelil non compare oggi tra gli accusati. E l’ex ministro non scompare neppure dalla scena. Fa il consulente, pare viva a Orano, e poco più di un anno fa ha creato a Londra una società , la Mantral. Lo scorso ottobre sarebbe stato avvistato a una convention di imprese minerarie in Mauritania.


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