La lotta per salvare il mais è inquinato un chicco su tre cibi a rischio contaminazione
ERACLEA (Venezia) — I silos che svettano come cattedrali fra il Veneto, l’Emilia e la bassa Lombardia nascondono un dramma: più di 20 milioni di quintali di mais — almeno un terzo della produzione dell’anno scorso — che sono inquinati da un fungo, l’Aspergillus flavus. È un fungo che provoca una tossina (Aflatossina B1) in grado di «indurre fenomeni di necrosi cellulare e di cancerogenesi ». Una massa enorme di mais malato e pericoloso rischia dunque di mettere al tappeto i coltivatori (il mais è la prima coltura nazionale) che non riescono a farsi pagare il prodotto e rischiano di non avere i soldi per le prossime semine. A rischio è anche il mercato di un cibo ogni giorno sulle nostre tavole: con la polenta, l’olio e i corn flakes, ma soprattutto con la carne e il latte di animali che sono in gran parte alimentati con questo cereale.
La presenza dell’Aspergillus è stata provocata dalla siccità , che nel 2012 per 80-90 giorni ha colpito le piante di mais, che crescono e maturano in 140 giorni. Meglio precisare, comunque, che tutte le autorità sanitarie e le associazioni di produttori assicurano che i controlli sono serrati e che per i consumatori non c’è pericolo. «Siamo stati noi coltivatori — dice Marco Aurelio Pasti, presidente dell’Ami, Associazione italiana maiscoltori, nella sua grande tenuta di Eraclea — assieme all’Aires, l’associazione degli essiccatori e stoccatori di cereali, a trovare per primi questo inquinamento e ad avvertire le autorità di controllo ed i ministeri della Salute e dell’Agricoltura. Ma ora ci troviamo con questi due milioni, forse più, di tonnellate pericolose, e senza un aiuto vero non sappiamo cosa fare».
Per l’alimentazione diretta degli umani (farina, polenta, ecc.) la direttiva 32 del 2002 e il regolamento comunitario 1881 del 2006 prevedono l’ammissibilità di Aflatossina B1 solo in misura di «5 ppb» (parts per billion), cinque su un miliardo. Per l’alimentazione zootecnica il limite è fissato a «20 ppb». La proposta principale dell’Ami, che aderisce a Confagricoltura, è quella di differenziare l’alimentazione degli animali, chiedendo un intervento della Commissione europea. «Tutte le ricerche scientifiche — dice Marco Aurelio Pasti — assicurano che per gli animali da carne il limite può essere alzato a 100 ppb, mentre per le vacche da latte e per l’alimentazione umana il limite deve restare quello fissato».
Nelle vacche in lattazione l’Aflatossina B1 si trasforma nell’Aflatossina M1, molto pericolosa. Ed è proprio analizzando il latte che, già nell’ottobre scorso, conclusa la raccolta dei mais, l’Istituto zoo-profilattico di Lombardia ed Emilia Romagna ha scoperto questa M1 «potenzialmente cancerogena » e ha ordinato la distruzione del latte infetto.
La proposta dell’Ami e dell’Aires nasce da uno studio commissionato al professor Marco De Liguoro, del dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell’Agripolis di Legnaro. Altri esperti, i professori Amedeo Reyneri dell’università di Torino e Roberto Causin dell’ateneo di Padova, hanno sostenuto la richiesta. La proposta di alzare il limite ppb ha poi trovato un’intesa forte con gran parte del mondo agricolo (Cia, Confagricoltura, Copagri, Fedagri Confcooperative, Legacoop agroalimentare, Agrital e Compag). «Senza un innalzamento della soglia — dice Marco Aurelio Pasti — non sapremmo come usare il mais pericoloso, che rischierebbe di restare nei silos anche il prossimo anno e magari inquinare partite sane. La soglia potrebbe essere sotto i 100 ppb per gli animali da carne, mentre sopra ai 100 ppb il mais andrebbe negli impianti di biogas. Ma in questi impianti può essere usata solo una piccola parte del mais inquinato. Una tonnellata di biogas inoltre viene pagata oggi 150-160 euro contro i 240 del mercato».
«Senza interventi immediati — dicono le associazioni agricole — il 60 per cento del fabbisogno nazionale di mais rischia di essere importato dall’estero, contro una media del 15, 20 per cento. Il danno sarebbe di almeno 200 milioni ».
Non tutti sono d’accordo. «Chiedere all’Europa di alzare i limiti — dice Stefano Masini, responsabile ambiente della Coldiretti — significa danneggiare la salute e anche l’economia. Pesante sarebbe il danno d’immagine per tutto il cibo made in Italy.
Abbiamo avuto già enormi danni con “mucca pazza” e l’aviaria. Sappiamo quanto sia difficile ricostruire una filiera. Il mais inquinato può essere usato per il biogas o le biomasse, e i coltivatori possono essere rimborsati del danno perché la siccità , che ha prodotto questo dramma, è stata davvero un evento eccezionale».
«Pulire, pulire, pulire», questo il motto della Regione Emilia Romagna. «Ci sono tecniche — raccontano l’assessore all’agricoltura Tiberio Rabboni e il dirigente Daniele Govi — che permettono di recuperare il 60-70 del mais ma non tutti i magazzini sono attrezzati. Noi vogliamo innanzitutto tutelare la salute dei cittadini. Deve essere l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare a dire se sia possibile aumentare la soglia per certi animali da carne». Dall’Emilia, anche una buona notizia. All’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza la professoressa Paola Battilani ha isolato un Aspergillus «buono» in grado di contrastare la crescita dell’Aspergillus cancerogeno. Purtroppo potrà essere pronto solo fra cinque anni.
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