La resa dei conti a Teheran
Procuratore generale di Teheran fino al 2009, Mortazavi era chiamato dall’opposizione il «macellaio della stampa» per aver fatto chiudere 120 giornali e arrestare decine di giornalisti prima ancora del grande massacro del 2009, con le proteste dell’Onda verde, in cui ebbe un ruolo feroce. Era sotto inchiesta dal 2010 proprio per la morte in cella di numerosi manifestanti fermati dopo la rielezione di Ahmadinejad. Ma il suo arresto di lunedì è politico. Perché Mortazavi è un grande alleato del presidente e un grande nemico, di conseguenza, della Guida Suprema Ali Khamenei. La guerra aperta tra i populisti del presidente e i conservatori del successore di Khomeini è in corso dal 2011, quando Ahmadinejad iniziò a dissentire in pubblico dall’onnipotente Khamenei. Ma l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali di giugno sta accelerando la resa dei conti. Ahmadinejad non potrà correre per il terzo mandato, e il suo potere in patria è già molto ridotto. Secondo gli analisti, è stato «tenuto in vita» da Khamenei solo come capro espiatorio, ovvero per essere indicato al Paese come responsabile della crisi economica dovuta anche alle sanzioni. Ma, uno dopo l’altro, i suoi principali alleati sono stati eliminati e, nella totale assenza dell’opposizione liberale, l’ipotesi che un uomo di Khamenei diventi il nuovo presidente è una certezza. C’è il probabile candidato a questa carica dietro l’affaire Mortazavi: il presidente del Parlamento Ali Larijani, protégé di Khamenei. Ahmadinejad, sabato scorso, aveva portato in Parlamento la registrazione di un colloquio di Mortazavi con un fratello di Larijani, da cui sarebbe risultato il tentativo di corruzione da parte di quest’ultimo. Ma il nastro era inascoltabile, l’accusa si era trasformata in farsa. Larijani ne era uscito vincitore e si era vendicato su Mortazari. Insomma un pasticcio all’iraniana. «Un atto odioso, il potere giudiziario appartiene al popolo e non a una famiglia», ha reagito ieri Ahmadinejad, furioso, riferendosi ai Larijani (un fratello è capo dell’autorità giudiziaria). Ma ad ascoltarlo sono sempre meno. E anche la promessa di «mettere a posto tutto al mio ritorno a Teheran» sembra un’illusione.
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