PATTO DI INTERESSE FRA I LATI OPPOSTI DELLA MEZZALUNA

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Eppure Teheran vuole riavvicinarsi al Cairo. La caduta del regime alawita rischia di condurre al potere forze sunnite ostili sponsorizzate, oltre che dall’Egitto, da Turchia, Qatar e Arabia Saudita. Per la Repubblica Islamica l’imperativo è evitare l’isolamento che una rottura dell’arco sciita tra Teheran e Beirut a Damasco produrrebbe inevitabilmente.
Perché non accada, l’Iran ha bisogno di un interlocutore arabo e sunnita. Capace di esercitare un’azione stabilizzante a Damasco , ridimensionare le mire nell’area delle monarchie del Golfo e del neottomanesimo turco. E, se possibile, in grado di offrire il riconoscimento di una sfera d’influenza che tenga aperta a Teheran la via verso la Beirut di Nasrallah. Per perseguire una simile opzione, se fosse necessario anche al prezzo di uno scambio politico fondato sul via libera al cambio di regime a Damasco, la scelta non può che cadere sull’Egitto. Alla conferenza dei Non Allineati a Teheran dello scorso anno, Morsi è stato molto duro nei confronti di Assad e, per proprietà  transitiva, verso i suoi protettori iraniani. Ma, al di là  dei toni, il presidente egiziano ha realisticamente distinto il primo dai secondi, proponendosi come artefice di una soluzione politica alla crisi. L’omaggio non di circostanza alla tradizione religiosa sciita, assai invisa ai sauditi, non è poi passato inosservato. Così gli iraniani hanno subito aderito allo “strano quartetto” di potenze islamiche rivali che, su iniziativa del Cairo, cerca una soluzione alla guerra civile siriana. E, sin da allora, Morsi e Ahmadinejad hanno convenuto che andasse evitato qualsiasi intervento di forze esterne.
Ma anche il governo egiziano ha interesse a un nuovo rapporto con quello iraniano: entrambi puntano a contenere le spinte dei salafiti, che gravitano nell’orbita dei paesi del Golfo. Per i salafiti l’Iran è la potenza confessionale protettrice delle forze nemiche dei sunniti e custode dell’eresia sciita: come tale va contrastata. Inoltre, obiettivo comune, è il contrasto dei gruppi di matrice qaedista. Dopo l’esperienza settaria irachena e la sanguinosa deriva siriana, gli iraniani considerano il qaedismo una minaccia strategica. Per gli egiziani è, invece, decisivo che il “contagio ” jihadista siriano non si allarghi, via Giordania, alla polveriera Sinai e possa poi deflagrare oltre il Canale.
L’Iran guarda all’Egitto della Fratellanza anche per rendere più complicata una possibile azione di Israele nei suoi confronti. Un riavvicinamento al Cairo significa per Teheran ampliare la propria sicurezza politica e militare. E non solo attraverso il sostegno a Hamas. Il depotenziamento della frattura sunniti-sciiti in un punto decisivo della faglia confessionale, renderebbe più facile la solidarietà  infra-islamica nel caso precipitasse la crisi del nucleare. Un fattore di cui tutti dovrebbero tenere conto.


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