Corsa al Colle, mossa di Monti pro Napolitano

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ROMA — Se è vero che la corsa al Quirinale è come una partita a scacchi, la proposta di rieleggere un presidente della Repubblica uscente è la classica mossa di apertura, che segna di fatto l’inizio della competizione e serve a tenere coperti i nomi dei veri contendenti. Stavolta però non è così, almeno non del tutto: l’endorsement di Monti a favore di Napolitano non è scolastica, né può essere (solo) interpretata come segno di gratitudine verso chi l’ha nominato senatore a vita e poi presidente del Consiglio. Stavolta l’ipotesi che l’attuale capo dello Stato succeda a se stesso è contemplata nel novero delle possibilità , è una soluzione di cui si discute ai massimi livelli, anche istituzionali, è l’opzione estrema che potrebbe tornar utile se il risultato delle urne dovesse proporre in Italia uno scenario greco.
Più volte Napolitano ha pubblicamente escluso di voler restare al vertice dello Stato. Dopo sette anni a dir poco turbolenti e faticosi, il suo auspicio è di passar la mano. Ma a parte il fatto che il Colle — come raccontano i politici di lungo corso — «è miracoloso quanto la piscina di Cocoon», la prospettiva indicata da Monti non sarebbe irrealistica se il nuovo Parlamento non garantisse la governabilità . Il primo a manifestare timori in tal senso è stato Casini, due settimane fa: «Ho l’impressione che la prossima legislatura non durerà  mica tanto». A ruota, qualche giorno dopo, il ministro Barca è stato ancor più esplicito. «Chissà  se tra qualche mese mi troverò ancora al mio posto», ha sorprendentemente detto in un’intervista al Corriere il responsabile per la Coesione territoriale, spiegandone i motivi: «Senza una maggioranza stabile, potrebbe accadere che — una volta eletto il nuovo presidente della Repubblica — si torni al voto».
È in quel contesto balcanizzato che la figura di Napolitano diverrebbe punto di riferimento in attesa di traghettare di nuovo il Paese alle urne, siccome — prima di restituire la parola ai cittadini — sarebbe indispensabile almeno modificare la legge elettorale. Il mandato sarebbe quindi una sorta di proroga concordata tra il Colle e le forze politiche, un patto per gestire la transizione che si esaurirebbe con la fine di quella fase. Ecco perché le parole pronunciate ieri da Monti, «voterei per Napolitano», non sono (solo) un gesto di cortesia ma assumono valenza politica. E testimoniano al tempo stesso un evidente disappunto del Professore verso quella «corrente di pensiero» che lo voleva candidare al Quirinale e che «oggi non so quanto si sia effettivamente inaridita».
Non c’è dubbio che la corsa di Monti per il Colle appaia molto complicata, dato che né il Pd né il Pdl (e nemmeno l’Udc) sono propensi a sostenerla. Nei partiti c’è la volontà  di chiudere la parentesi emergenziale, perciò non è soltanto Bersani a sperare che lo scenario greco non si concretizzi. Anche Fini di fatto ha preso le distanze dall’idea di Monti, tessendo le lodi di Napolitano, «voterei per un suo bis», ma con l’aggiunta di un inciso: «Non credo sia possibile».
Tuttavia l’opzione resta, dato che restano le preoccupazioni delle forze politiche sull’esito della sfida elettorale. E i timori oggi non sono tanto legati al rischio che il centrosinistra non abbia la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento: l’allarme è sulla reale forza di Grillo, che secondo alcuni leader sarebbe «sottostimato nei sondaggi», mentre Monti sarebbe «sopravvalutato». Non a caso nel Pd c’è chi prevede che Scelta Civica non andrà  «oltre il 7-8%», con l’intera coalizione centrista «tra l’11 e il 12%». Se così fosse, ogni calcolo finora fatto sulla composizione del Senato salterebbe. E salterebbero anche i calcoli per la corsa al Colle, dove Grillo vorrebbe far salire un Dario Fo «perplesso» solo all’ipotesi della sua candidatura.
Ma allora come mai Casini nei conversari riservati sostiene che «in pole position per il Quirinale c’è Prodi»? E il capo dell’Udc non è l’unico a sussurrarlo, dato che il fondatore dell’Ulivo viene dato per favorito anche a Palazzo Chigi e tra i maggiorenti del Pdl. È vero che Prodi sconta resistenze nel Pd, che a scrutinio segreto potrebbero rivelarsi fatali. Ma autorevoli esponenti del governo sottolineano i legami dell’ex premier con Bersani e soprattutto con il governatore emiliano Errani, braccio destro del leader democratico. In più Prodi potrebbe contare sull’appoggio dei renziani, pronti a votarlo in blocco per il Colle.
Si vedrà . Resta da capire come si muoverebbe Berlusconi sul Quirinale. Il Pd, che in caso di vittoria inserirà  le presidenze delle Camere nella trattativa di governo con i centristi, sul nome del futuro capo dello Stato vorrà  invece dialogare «anche con il Pdl», come ha detto per tempo Bersani. Non è dato sapere se ci siano già  stati dei contatti tra i due partiti, è certo che i vertici democrat considerano «un bluff» i segnali di disponibilità  del Cavaliere verso Amato, le cui quotazioni peraltro sono in calo per il «caso Mps». E allora, in attesa di capire l’esito del voto che decreterà  la griglia di partenza per la corsa al Colle, nel Pd c’è chi si esercita nelle previsioni: e se Berlusconi per il Quirinale facesse ai democratici una «proposta choc»? No, il Cavaliere che propone Prodi…


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